un disordine ricercato

un disordine ricercato

Vario son da me stesso

Antonio Marchetti sfugge a qualsiasi definizione. Potremmo considerarlo un eclettico per eccellenza, un artista-intellettuale in cui il pittore, lo scultore, lo scrittore, l’editore, convivono in modo singolare; l’esempio di un autore che non rinnega la parola e non si rifugia nel mutismo per lasciar parlare le opere, secondo una vecchia concezione estetica. Tutta la sua attività sta a confermare la capacità, grazie al dono dell’ironia, di spaziare in campi d’indagine diversi, con risultati sempre efficaci ed originali.

Ho conosciuto Antonio alla fine degli anni Settanta durante le lezioni di Storia dell’Arte all’Università di Pescara. Lui frequentava Architettura, io Lingue. I nostri approcci erano diversi anche se comune l’interesse per l’arte. Nel 1985 l’ho ritrovato a Pesaro, alla Galleria Deposito Figure, dove presentava la rivista Stilo. A quel tempo già cercava di non assecondare lo stereotipo dell’artista unicamente assorbito dalla sua ricerca estetica. Dipingeva e nello stesso tempo dirigeva una tra le più intelligenti e particolari riviste apparse nella baraonda cultural-consumistica degli anni ’80. Scoprii più tardi che essa era funzionale sia alla sua continua voglia di conoscenza che alla sua indomita necessità di dialogo e confronto. Stilo è stato un punto d’incontro culturale, realizzato con grande sforzo e partecipazione dall’artista, il quale avvertiva come la conoscenza avesse bisogno del fare concreto, della progettualità realizzata.

Due anni più tardi una personale alla Galleria Manzo di Pescara, Mimetico e Leggero, presentata da Giacinto Di Pietrantonio, mi rivelava la sua produzione pittorica. I dipinti esposti affrontavano due tematiche: una che definirei poetica degli interni (nature morte, oggetti colti in momenti particolari con luci che regalavano alla loro immobilità un presentimento di vita segreta), l’altra che evocava spazi siderali, luoghi dalle tonalità notturne in cui si descrivevano comete di passaggio in cieli infiniti.Tra queste, una mi aveva colpito, lo Psiconavigante. Marchetti dipinge un personaggio sospeso in uno spazio astratto, in viaggio dentro gli oscuri meandri della psiche, mentre viene colto da un’intuizione improvvisa, un’epifania. Un’opera dove la concentrazione dell’attimo e il convulso fluire degli eventi sono rappresentati in una sintesi ammirevole. Ne fui affascinato, l’acquistai e oggi contrappunta molti dei miei attimi quotidiani.

Da quel momento, lo sviluppo dei nostri incontri e delle rinnovate discussioni si è accordato a quello della sua ricerca e della mia conoscenza di essa. Alla fine degli anni ’80 Marchetti ha spostato l’azione verso la scultura e il disegno che, in ogni caso, si legava con coerenza alle precedenti esperienze pittoriche. Appaiono i Single, oggetti-scultura usciti da alcuni suoi dipinti per materializzarsi tridimensionalmente nello spazio. Potrebbero essere concepiti come “caffettiere”, sapendo che il termine esprime la produttività della macchina, il funzionamento autosufficiente, il meccanismo di singolarità. I Single di Marchetti sono personaggi, elementi non imbrigliati nella loro staticità decorativa; unità capaci di trasformarsi in particolari emblemi carichi di accordi segreti. 

Altra caratteristica della sua sperimentazione è l’importanza rivestita dal disegno che, per Marchetti, non è appunto progettuale, primo abbozzo per opere successive, ma spazio autonomo d’indagine. Egli potrebbe fare sua la frase di Goethe: “quello che io non ho disegnato non l’ho visto”.

Anche i titoli assumono grande rilevanza, rappresentando il legame evidente con la sua passione per la scrittura; compaiono non come semplici cifre grafiche, ma come strumento di evocazione. Essi non sono mai esplicativi o stranianti, direi piuttosto che aumentano e rafforzano i significati sottesi, una sorta di evidenziatori semantici. 

Con l’evoluzione della sua ricerca, aumenta, l’interesse della critica. Tra le mostre più importanti ricordiamo: Materialmente, (una riflessione sulla scultura degli anni ’80) curata da Cristina Marabini e Dede Auregli alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, le personali Disegni e sculture alla Galleria dell’Immagine a Rimini e Cento piccoli Singlealla Galleria Gian Franco Rosini presentata da Vittoria Coen. Pubblica per le Edizioni Essegi, Plateau, con un testo di Alberto Boatto.

La sua opera, all’inizio degli anni ’90, si indirizza verso la riflessione sul sottile meccanismo proprio del gioco combinatorio. Piccoli disegni che, assemblati, creano puzzle o arazzi; elementi dalle forme geometriche essenziali, ma con possibilità di incastro complesse. Un gioco ironico dove le miniaturizzazioni si congiungono in movimenti prolifici per rivestire grandi superfici.Da quel momento l’artista privilegia l’installazione, coinvolgendo tutto lo spazio in cui interviene. Ad Anni Novanta, la mostra curata da Renato Barilli, egli precisa questo suo approccio. In un affascinante ed eterogeneo insieme, sistema, a parete e a terra, cento piccoli Single di cartone – carri armati con bandierine – sui quali scrive cento diversi titoli: un modo per accentuare il tema della differenza, della singolarità. Su una parete laterale campeggia una frase di Arcimboldo restituita dalla gioiosa libertà dell’acquerello, Vario son da me stesso. Un motto che per Antonio Marchetti ha rappresentato un manifesto.

Gli anni Novanta ci videro ancora insieme. La nostra volontà di scompaginare le carte ci fece preferire la pubblicazione, invece del solito catalogo, del suo primo romanzo, La lentezza del single, per la mostra di grandi disegni da me curata alla Stamperia dell’Arancio. Una prova letteraria ancora molto attuale, che suggellò il suo amore per la scrittura. Questa pratica l’ha accompagnato per tutta la vita e ci ha lasciato prove di scrittura che spaziano dalla saggistica ai racconti, dalla raccolta di aforismi a brevi romanzi autobiografici, pensiamo a Ennio Flaiano e la città parallela, L’orecchio alato,Gineceo, fino a Il miracolo dell’ostia profanata, una rilettura, attraverso la forma della biografia immaginaria, del pittore quattrocentesco Paolo Uccello.

La ricerca artistica di Marchetti, indirizzata verso l’installazione, si arricchisce di una serie di mostre personali: Pesanervi, ancora insieme a Giacinto Di Pietrantonio; Sistema Nervoso con uno scritto di Alberto Boatto; La camera verde, un allestimento che affronta le problematiche della memoria, del ricordo e il culto dei morti. L’altare votivo, composto dall’autore, accoglie, in cornici di vario formato, i volti di autori amati: August Strindberg, Dino Campana, Gilles Deleuze, Emil Cioran, Pavel Florenskij, Roberto Rossellini, Adolf Loos, Raymond Roussel, Marguerite Yourcenar, Robert Capa, Antonin Artaud, tra gli altri. Raffinati rimandi culturali li accomunano, soprattutto, secondo l’artista, l’eleganza, vista come una categoria estetica appannaggio solo della vera arte. 

In questo decennio Marchetti inizia a creare opere in valigia, scatole-raccoglitori dentro le quali inserisce oggetti di diversa provenienza; rebus narrativi di particolare suggestione come La zitella laboriosa e il suo testamento. Le teche diventeranno nel tempo una sorta di reliquiari d’affezione; assemblaggi scanditi dalla sapiente costruzione architettonica e geometrica come in 20 pezzi facili. Negli ultimi anni saranno, invece, le scatole da entomologo, contenitori dove in genere si espone la strabiliante bellezza, dalla durata effimera, delle farfalle, a diventare il supporto preferito per imbastire micro racconti di prodigiosa eleganza. Gli stessi spilli da entomologo si trasformano in alfabeto morse con il quale disegna paesaggi inconsueti, Bovisa, o infilza raffinati lettering per il prezioso Abbecedario, realizzato per la mostra Come ho dipinto alcuni miei libri allestita nelle antiche sale della Biblioteca Gambalunga a Rimini nel 2009. L’istallazione cita un testo di Raymond Roussel sulla natura combinatoria della scrittura, diventando al contempo una riflessione sui libri e sulla loro doppia natura materiale e intellettuale; qui Marchetti fa incrociare le sue ricerche artistiche e letterarie in modo ammirevole e chiude in un cerchio perfetto la corrente convulsa del suo pensiero estetico. 

In occasione del Padiglione Italia, Abruzzo, Marchetti nel 2011 presenta due lavori esemplari: il polittico Il Bel Paeseall’Ex Aurum nella sua Pescara e la serie Angelus Novus alla Fortezza borbonica di Civitella. Nel primo, compone un puzzle in cui la storia italiana si deposita in contenitori che ospitano pittura, frammenti architettonici, elementi aggettanti; scenografie per narrare le piccole storie di un romanzo visivo molteplice e vario. Con la serie dedicata a Walter Benjamin, nella splendida cornice della Fortezza, fa materializzare angeli filiformi, realizzati con fuscelli, frammenti di legni, campanelli, matite, corde invecchiate; apparizioni ieratiche in un tempo storico oscuro.

Nei mesi precedenti la prematura scomparsa, Marchetti si concentra su una serie di paesaggi in scatola di piccole dimensioni. Quaranta micro visioni composte con una prodigiosa tecnica combinatoria che fa dell’eterogeneo un grimaldello per sconfiggere la piatta e standardizzata replica dell’identico. Un pericolo mai corso da un artista che dell’impegno etico e morale, della sottrazione e dell’eleganza, ha fatto un imperativo inderogabile. La prova della capacità di Marchetti di leggere il presente e di riflettere ad ampio spettro sulle emergenze contemporanee nell’arte e nella società, mostrandone i perversi meccanismi con lucida e sferzante ironia, è contenuta nel Journal: un diario web dove fa precipitare riflessioni su differenti argomenti, rivelatori della sua tentacolare cultura. Di questo straordinario lascito è stato pubblicato postumo, per l’amorevole cura di Virginia Cardi, il volume, Disegno dal vero. Un libro dove ritrovare l’irriducibile, intransigente, stimolante Antonio Marchetti che abbiamo sempre adorato anche durante le inevitabili ma sempre vitali discussioni; artista raro che ci consegna un testamento di cui Alberto Boatto ha scritto: “Lo sguardo e la scrittura sono di un uomo colto, di un marginale che osserva le vicende dell’arte e della letteratura con distacco e disincanto, tutto trattenuto in una grande, mobile quasi impalpabile eleganza, come si accarezza una stoffa di pregiata seta.”