un disordine ricercato

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Rembrandt incisore o le infinite modulazioni della luce

Rembrandt, uno dei massimi artisti della storia dell’arte, quando esorta ad avere come unico maestro la natura, testimonia la soggettività irriducibile del genio che prescinde da qualsiasi discendenza culturale per evocare, invece, la forza panteistica dell’universo. L’artista che maggiormente ha scavato dentro l’animo umano – pensiamo al grande scandaglio compiuto con l’autoritratto – si appella alla forza creatrice e vitale della natura, piuttosto che ad un recupero di stilemi consolidati, creando con la sua opera una vera rivoluzione che si irradia in Europa durante il Seicento, secolo d’oro dell’Olanda, suo paese natale.

Rembrandt da un lato compie un apprendistato non ortodosso da autodidatta, dall’altro avvia una pratica che anticipa molti degli aspetti connaturati ad una moderna concezione dell’Atelier d’artista, come ha evidenziato in un celebre studio, L’officina Rembrandt, Svetlana Alpers. Il lavoro della storica dell’arte statunitense mette in evidenza quanto il suo ruolo fosse centrale nella bottega e quanto fosse imprescindibile per l’artista non negoziare con i propri clienti o mecenati nessuno dei suoi valori artistici. Quindi un autore che, nell’anticipare alcuni fondamenti della moderna committenza, del rapporto con gli allievi e assistenti, secondo una logica economico-mercantile nata da uno dei paesi più floridi dell’Europa del tempo, non perde mai di vista il punto centrale della sua poetica che concepisce l’artista quale espressione di una unicità che non scende a compromessi.

Se la sua opera pittorica raggiunge vertici supremi per qualità formale, anche l’opera incisoria si colloca nell’empireo di una strabiliante capacità espressiva che lo pone tra i massimi incisori di tutti i tempi.

Nelle incisioni rembrandtiane l’oscurità si confronta con le diverse modulazioni della luce. I calibrati intrecci tra gli spazi luminosi, ottenuti con un gesto di sottrazione, e i fitti segni, prodotti da una sinfonia grafica, tracciano sulla lastra una stenografia del profondo che si addensa con grande maestria. Il risultato diventa l’esplorazione dei molteplici modelli esecutivi con i quali egli amplia le possibilità espressive del linguaggio grafico.

L’ombra domina incontrastata in alcune celebri lastre come San Gerolamo in meditazione nella cella in cui una coltre di oscurità vellutate avvolgono l’eremita, mentre dalla finestra una fioca luce riveste il santo di un accennato chiarore immateriale; nel Nudo di schiena disteso in ombra il corpo femminile viene inghiottito dalle tenebre, mentre in primo piano il biancore di un lenzuolo offre un contrasto di stridente efficacia e modernità; ne La sepoltura lo strazio della passione di Cristo viene reso da atmosfere inchiostrate nella pece, ottenute con raffinati tratteggi, e rischiarate soltanto da porzioni luminose che inscrivono l’opera nel drammatico sacrificio dell’uomo immolato, secondo il credo cristiano, per l’umanità tutta.

La predominanza dell’ombra lascia il posto ad una più eterea e raffinata modulazione luminosa in capolavori come La morte della Vergine nella quale Rembrandt riesce ad infondere il balsamo di una luce divina che si riversa sul corpo della Vergine, circondata da personaggi resi con una maestria che lascia senza parole, o come ne la celebre La presentazione al tempio, dove la sapienza della sua mano, grazie ad un tratto impalpabile, fa sortire effetti meravigliosi, frutto di una leggerezza chiaroscurale prodigiosa.

La ricchezza sperimentale dell’artista olandese riversata nelle scene evangeliche che, come sostiene Georg Simmel, prescindono “da qualsiasi tradizione ecclesiastica a dal suo contenuto terreno”, si ritrova anche nei numerosi ritratti o autoritratti che compongono un corpus fondamentale della sua opera incisoria. In tali lavori Rembrandt fa sortire dai volti dei soggetti sguardi interroganti – Autoritratto con Saskia, Rembrandt con cappello morbido e abito ricamato, Jan Asselijn, pittoreRitratto di Clement de Jonghe, venditore di stampe, Ritratto di Jan Antonides Van der Linden – che pongono lo spettatore in una sorta di posizione ambigua e coinvolgente. Questi ritratti, presentati in mostra, esprimono la coscienza da parte dell’artista olandese del fondamentale rapporto che si instaura tra l’osservatore e l’opera. Un rapporto che investe i raffinati aspetti percettivi e il coinvolgimento psicologico che Rembrandt sviluppa in tutta la sua ricerca come studiato, con ampia visione prospettica, da Alois Riegl.

Sia che l’artista si focalizzi su scene bibliche, evangeliche, o si concentri su soggetti vicini alla sua cerchia artistica, intellettuale e su figure della quotidianità, è la luce a dominare sovrana con le sue infinite modulazioni. Una su tutte: il Faust. Qui la luce si fa corpo, si materializza come visione, astro splendente, corpo fisico. Risplende per testimoniare quella ricerca che anela a tutta la conoscenza del mondo; sapienza cercata da Rembrandt con la sua somma arte, pittorica e incisoria.