un disordine ricercato

un disordine ricercato

Intuire il presente

Datemi l’intuizione del presente, avrete il passato e il futuro. R. W. Emerson

In una recente intervista rilasciata per il volume Estetica neodimensionale, Giuseppe Stampone esprime la convinzione che “l’arte si nutra del proprio presente”, testimoniando di essere un artista legato al proprio tempo e di aderire alla realtà contemporanea. Infatti, la sua opera è l’esempio di una significativa ricerca ancorata alle problematiche emergenti e agli snodi teorici che caratterizzano l’attuale mondo della società mediatica avanzata. La sua arte, se vogliamo utilizzare le parole di Emerson, ci permette di intuire il presente, restituendoci anche il passato e il futuro, poiché Giuseppe Stampone sembra essere il portavoce di un nuovo e inedito Umanesimo che coniuga la cultura rinascimentale e l’immaginario cyber; Piero Della Francesca, Marcel Duchamp e Marshall McLuhan; l’Arte Relazionale con intenti etico-sociali e la restituzione di icone pop; l’individualismo che non rinnega l’altro da sé e la riflessione poetica sul proprio vissuto; la denuncia politica e il gioco ironico; la raffinata sapienza manuale e la multimedialità. Questo percorso creativo, costruito da azioni artistiche, attraversamenti disciplinari, prelievi linguistici, nuove prefigurazioni espressive, complesse installazioni interattive, non si sottomette alla visione proposta dal pensiero postmoderno che rinnega giudizi di valore, ma mette in campo una sensibilità etica svincolata dal cinismo per ritrovare una libertà ancorata al presente e proporre una nuova prospettiva che restituisca la complessità del reale.

Nella società attuale, mentre i fenomeni si dispongono su un asse che rifiuta la direzione lineare per inscriversi su una mobilità multidimensionale, la rete riconfigura integralmente il modello delle comunità ereditate dalla cultura moderna. Il tema della condivisione sposta sempre più il suo modello da un stretta e limitata relazione interpersonale verso le smisurate dimensioni globali dell’agorà planetaria. La comunicazione assume nuove funzioni e vede scardinati alcuni suoi assiomi fondamentali nel momento in cui la rimediazione favorisce la competizione e l’integrazione tra diversi media, instaurando una inedita convergenza tecnologica. Una convergenza che non sempre omologa le possibilità operative, ma offre, a chi è consapevole di tale cambiamento, occasioni creative e scambi imprevisti che, ampliandole opportunità espressive, incidono strategicamente sulla realtà sociale ed estetica. Tutta l’opera di Giuseppe Stampone testimonia la sua profonda conoscenza del mutato ambito sociale, economico, culturale e tecnologico prodotto dalla contemporanea società mediale basata sugli accessi multipli e sulle connessioni istantanee, alla quale egli oppone una strategia fatta di installazioni neodimensionali, definite dall’autore “dispositivi di sconfinamento”, incursioni nella logica che affronta i transiti disciplinari ed esplora le innovative relazioni tra opera e fruitore.

Nella sua battaglia contro un sistema concepito come organizzazione ingabbiata dentro rigidi schemi, l’artista mette in campo, negli ultimi anni, opere diverse tra loro, dai linguaggi espressivi plurimi e concomitanti: disegno, fotografia, video, installazione, scultura interattiva. Private Collections, la mostra con cui Stampone inaugura il nuovo spazio de L’ARCA, presenta una campionatura di lavori recenti; un evento che riporta nella città, dove l’autore ha concepito e realizzato i suoi progetti, opere significative appartenenti a collezionisti privati, esposte insieme per la prima volta.

Con Tracce della propria vita del 2008, l’artista realizza, con il medium fotografico, una poetica incursione autobiografica creando un raffinato rebus cifrato in cui gli elementi, su una spiaggia deserta, si presentano come simboli di un viaggio in opposte direzioni. Agli oggetti, disposti frontalmente verso l’osservatore a cadenzare un continuum spazio-temporale, Stampone affianca la sua figura, o quella della compagna Cristina, di spalle mentre osserva i riverberi perlacei di un mare e di un cielo lontani. L’opera sembra citare l’afflato romantico del celebre Monaco in riva al mare di Caspar David Friedrich, ma, stemperando ogni tono drammatico, riconduce l’immagine in un ambito contemporaneo di rischiarata e tranquilla serenità.

Nello stesso anno Giuseppe Stampone inizia a lavorare sugli ormai celebri Abbecedari, e realizza una serie di opere composte da moduli disegnati con la penna Bic, in cui recupera la tradizione della trascrizione grafica di lettere contenuta nei sillabari. L’alfabeto figurato ha rappresentato un dispositivo didattico per infondere principi educativi sui quali la pedagogia moderna ha costruito uno dei suoi statuti essenziali. Come ci ricordano gli studiosi dell’apprendimento, la traduzione visiva delle lettere è un capitolo di quella lunga storia che dal Medioevo arriva fino ai giorni nostri, in cui si è cercato di guardare alle lettere degli alfabeti come elementi figurativi autonomi per trasmettere conoscenze.

Gli ABC di Giuseppe Stampone, da un lato, ricordano il fondamentale progetto affrontato dall’autore in ambito educativo e didattico nelle scuole (basti ricordare lo straordinario lavoro Acquerelli per non sprecare la vita),dall’altro, affronta uno strumento cardine dell’alfabetizzazione e della pedagogia per indagare le continue sovrapposizioni di senso che l’ambiguo rapporto tra parola e immagine instaura nella realtà attuale. Oltre a creare sequenze alfabetiche in italiano, spagnolo e inglese, l’artista riproduce slogan e frasi celebri attraverso figure ai cui margini compaiono lettere trascritte con diversi caratteri. La novità del lavoro è nell’uso di combinazioni inusuali e di accoppiamenti testuali impropri che sbilanciano la lettura referenziale o illustrativa; le opere rinnegano ogni semplicistica chiarezza didattica e producono molteplici slittamenti semantici.

Nelle otto lettere che compongono il noto slogan Yes we can, troviamo una splendida Marilyn Monroe dalle labbra vermiglie che illustra la C di crack-up; l’indimenticabile immagine del giovane cinese che riesce a fermare un carro armato opponendogli solo se stesso durante la protesta di piazza Tien Anmen è disegnata sopra la parola scandal per evidenziare la S; la parola earthquake. sovrastata dal volto di Osama Bin Laden per declinare la E. Nei diciotto moduli che assemblano le lettere della frase tratta dal Vangelo, Il gallo canterà tre volte, spiccano la T di territorio, restituita dal disegno di due bambini, uno palestinese e l’altro ebreo, riconoscibili dai tipici copricapo, stretti in un rassicurante abbraccio; la E di educare, resa dalla figura bardata di un poliziotto in tenuta antisommossa, e ottenuta con le raffinate sfumature bluastre dell’inchiostro; la R di recidivo, tradotta dalla postura imbarazzata di Pinocchio bugiardo a cui è cresciuto di nuovo il naso in modo smisurato.

Bastano questi pochi esempi per testimoniare i rimandi concettuali proposti dagli Abbecedari, che combinano ironici e taglienti riferimenti politici, doppi sensi e grottesche metafore, ma propongono anche raffinate iconografie prelevate dalla storia dell’arte, per evocare il complesso mosaico composto da opere riassemblate sulla base di libere combinazioni. Il lavoro rivela la sapienza manuale dell’autore, abile nel restituire, sulla base dell’essenziale bicromia giocata sul rosso e sul blu, disegni dalla prodigiosa qualità espressiva, frutto del suo indubbio talento.

La qualità del segno di Giuseppe Stampone non si concentra solo sugli Abbecedari, ma si trasferisce su quelle che egli definisce sculture interattive, come le Slot, e sui Flipper. Sugli oggetti-simbolo del gioco l’artista, lasciando intatti i meccanismi di funzionamento, compie una stupefacente opera di restyling. Dopo aver ricoperto di bianco le superfici esterne ed interne delle “macchine”, ad eccezione degli elementi metallici cromati, egli interviene con il disegno riconfigurando integralmente le iconografie preesistenti.

Uno dei flipper, La sacra sincope, accoglie sul display una summa di figure alter ego dell’artista: la Papessa, King Kong, Pinocchio, Joker, in un consesso dagli echi fiabeschi e surreali, mentre sul piano di gioco principesse in amore, circondate da Cupidi animaleschi, materializzano con il pensiero Geni da lampade magiche. Il tutto condito da cicogne svolazzanti con fagottini in consegna, accanto a Titti il canarino che saltella innamorato come in un festival paradossale ed anarchico, dove il mondo dei cartoons dialoga, senza soggezione alcuna, con iconografie artistiche e reperti di design.

Sui pannelli luminosi di una delle Slot Machine campeggiano un eloquente Fuck you e un imperativo, I want you, ad incorniciare il cabinato del gioco che rivela un sistema a rulli dove l’autore ha ridisegnato nuovi simboli combinatori:i loghi di multinazionali, affiancati da due sonetti della Divina Commedia trascritti in grafia da amanuense. La macchina mangiasoldi, uno dei simboli classici del gioco d’azzardo, si trasforma in un meccanismo da insert coin in insert art e riverbera, come uno strumento infernale, famelici sottotesti erotici e compulsivi.

Queste opere di Giuseppe Stampone riescono a trasferire lo strumento espressivo classico del disegno dentro una matrice concettuale dai fortissimi rimandi all’attualità in cui le iconografie sovvertono ogni logica identificativa e sviluppano mondi autonomi, creando oggetti interattivi e originali dispositivi di senso. L’universo ludico proposto dall’artista non cede mai il passo alla banale irriverenza o al gioco goliardico, ma racconta in modo innovativo l’immenso magazzino dell’immaginario contemporaneo, stipato fino all’inverosimile di immagini che si sovrappongono da non riuscire più a distinguere la realtà dal sogno.

La realtà dai drammatici risvolti irrompe, invece, in opere come Viaggio della speranzaHomo Avatar o Saluti da L’Aquila. Nel primo caso, sarà un’installazione che coniuga immagini fotografiche e video a testimoniare il dramma profondo dell’emigrazione, restituito in un rigoroso bianco e nero. Su due light-box dal taglio panoramico è impaginata una figura distesa, probabilmente morta, avvicinata da persone comuni che non si accorgono della sua presenza, mentre sullo sfondo appare un emblematico personaggio dal nero mantello. Il video, inserito all’interno di una valigia d’acciaio, è posto a terra e affronta una delle tragedie contemporanee più coinvolgenti in quanto esprime valori umani fondanti, come l’aspirazione ad una vita migliore, l’accoglienza dell’altro, la disponibilità al dialogo interculturale, l’attenzione verso il diverso. Temi affrontati dall’artista senza nessuna volontà predicatoria, richiamando, attraverso immagini di taglio cinematografico, l’asciuttezza essenziale di Rossellini e la simbolica lezione di Bergman.

La problematica dell’immigrazione trova un ulteriore approfondimento in Homo Avatar, una complessa installazione video in tre schermi che fa dialogare le immagini di persone distratte a passeggio, di un uomo ripreso con una inquadratura fissa da una telecamera mentre immobile staziona in uno spazio asettico, e del suo avatar in movimento nell’infosfera, il mondo tridimensionale di Second Life. Per l’autore l’opera rappresenta il contrasto insanabile tra l’aspirazione al riconoscimento dell’altro e la concreta realizzazione di tale utopia, concepibile solo in una nuova dimensione che potrebbe permettere a chi è considerato diverso di manifestare la propria identità, annullando i confini tra l’Io e il Noi. Homo Avatar, mettendo a confronto realtà e mondi virtuali, riflette sugli interscambi e i salti di ubiquità resi possibili nell’attuale mondo dominato dalle tecnologie avanzate e dal fluido universo magmatico delle Reti. Sarà Internet, infatti, il palcoscenico privilegiato per una serie di opere-azioni neodimensionali di particolare sviluppo innovativo e dalla dimensione globale, che dal 2007 vedono impegnato Giuseppe Stampone in un articolato progetto legato alla costruzione di un network relazionale dinamico, dai risvolti politici e sociali.

Straordinario punto d’arrivo è il recente Saluti da L’Aquila, complessa costruzione in cui un reportage fotografico, realizzato nella zona rossa colpita dal terremoto con la tempestività di un free lance d’assalto, diventa la base per una operazione di crossover mediale che coniuga fotografia, mail art e web. Le cartoline, spedite in tutto il mondo e inviate anche a eminenti personalità politiche, artistiche e culturali, sono dotate di un dispositivo elettronico che permette la tracciabilità del loro recapito attraverso un sito sul quale è possibile lasciare commenti, descrivendo “una sorta di diario di viaggio”.

L’intento del lavoro, nato come esigenza etica di testimoniare il dramma del sisma attraverso cartoline concepite come opere itineranti, si arricchisce di nuovi modelli relazionali e scardina i rigidi blocchi costantemente rinnegati dall’autore fra spazio espositivo e spazio esperienziale, fra arte e vita. I progetti neodimensionali dell’artista, sempre più allargati e condivisi come nel caso di Solstizio Project, una sorta di social network di arte globale di cui è stato uno degli ideatori, sono in grado di costruire le basi per lo sviluppo di un nuovo impegno socio-didattico dalle forti valenze pedagogiche e formative, poiché affrontano le emergenze reali della salvaguardia delle risorse, dell’educazione allo sviluppo sostenibile, dell’emigrazione e della drammatica diffusione dei conflitti. Ma anche il valore irrinunciabile della libertà d’opinione viene espresso con efficacia da una enorme scritta luminosa che l’artista installa a Venezia durante la Biennale, Bye Bye Ai Weiwei: il semplice, ma significativo, saluto ad un’artista simbolo dell’eterna lotta di coloro che combattono il potere con l’arma della verità.

Con le sue opere Giuseppe Stampone si configura come un umanista che non permette alle tecnologie avanzate di fagocitare i contenuti, ma le usa come volano e diffusione di problematiche di scottante attualità che esigono soluzioni condivise. La sua è una figura protesa verso l’altro, attenta allo sviluppo di una nuova idea di comunità o, secondo una precisa definizione di Derrick de Kerckhove, un autore pan-umano. Un artista necessario che, pur ancorato all’attualità, non ha mai smesso di riflettere sulla preziosa lezione di artisti e teorici che per primi hanno segnalato l’insorgenza dei cambiamenti che modificavano le basi della società occidentale con l’avvento della società mediatica, come Warhol e McLuhan.

A quella straordinaria stagione si potrebbe ancora volgere lo sguardo per ripensare all’insegnamento di alcuni intellettuali che in quegli anni, come oggi Giuseppe Stampone, si interrogavano senza integralismi sui malanni della società opulenta, tecnologicamente avanzata, segnalando i pericoli di una diseducazione di massa, l’esclusione di coloro che non rispettavano i canoni dell’efficienza, il disumano cinismo del capitalismo. Paul Goodman, infatti, parla di società vuota, ma, al contempo, riflette senza pregiudizi e da spirito libero sull’etica della tecnologia scientifica e, nel capitolo Controforze per una società più umana, segnala la moralità dei giovani che coltivano l’arte del possibile, parole riecheggiate dal nostro artista citando Oscar Wilde. Credere che ancora “tutto sia possibile” vuol dire non abdicare al nichilismo di maniera, ma confidare in una società aperta e connettiva, basata sulla condivisione e sul riconoscersi, perché simili.

Per Giuseppe Stampone i suoi simili sono anche quei collezionisti che si rispecchiano nelle sue opere e ne apprezzano la qualità, il messaggio, le tensioni, la poesia, a testimonianza della sintonia con un autore la cui opera cerca di illuminare il presente, ritrova il passato e ci proietta verso il futuro.