un disordine ricercato

un disordine ricercato

Il Collezionista / Divertissement 

Il Collezionista ogni giorno attribuiva minor valore alla Precisione. Aveva la sensazione che solo prescindendo da essa avrebbe nuovamente avvertito qualcosa nelle sue incursioni, ossia un briciolo di se stesso e l’unica materia dell’arte. L’orrore e la stupidità regnavano incontrastate ed egli associava il suo smarrimento ad immagini di navi avvolte dal tremore dell’oceano, avviate, da un inesplicabile impulso, a sprofondare nel vortice oh! Dio! E …affonda!…

Il Collezionista ricamava con i suoi fili preferiti dei minuscoli arabeschi che creavano trame varie e bizzarre. Per riuscire nel suo intento utilizzava i capi di alcuni gomitoli solo all’inizio ed alla fine del lavoro in modo che, tirati, gonfiavano la superficie dei ricordi, producevano piccoli avvallamenti accanto ai punti fermi delle riflessioni, increspavano la stoffa dei progetti. Si sforzava con metodica indifferenza affinchè il lavoro non avesse la cadenza a fisarmonica del plisseè. Careggiava l’unione fra nido d’ape e punto a croce, sfilato e punto a giorno, gli sembrava un matrimonio più adatto per avere la benedizione di Monsignor Contiguità che si dilettava nei sui sermoni a rimane con Falsità, Banalità, Volgarità non dimenticando anche Novità, Originalità, Creatività. Senza rimpianti si sporgeva a ricordare quando la precisione era stato il suo scopo o meglio la sua necessità; un riparo, una fortificazione che costruiva a suon di note, riferimenti, attinenze e previdenze; puntellavano la sua inquietudine, acquietavano i suoi interrogativi. I bei tempi andati, il Collezionista li aveva visti sparire pianpiano nel momento in cui la realtà aveva subito l’assalto dell’avidità e della falsità, della crudeltà ben condita con rivalità. Aveva preferito isolarsi, avere pochissimi interlocutori per allontanarsi dalla stupidità, sfidare il falso dell’apparente solidarietà. Un tentativo che aveva intrapreso con cocciuta e ignara ostinazione. 

– Ma sì, in fondo!!!…- 

Il fondo gli aveva strappato le innocenti parole che si dicono, si ripetono, gli aveva zittito le frasi di cortesia, gli inchini di circostanza ma, i piccoli piaceri derivati dalla sottrazione furono travolti dalla moltiplicazione dei pensieri senza parole, dai pensieri pensieri, dai grovigli d’idee, dalle matasse di congetture. 

Il Collezionista si sentì sfinito e quando addizionò i suoi risultati e divise il tutto per i suoi intenti la risposta fu: Mettere In Gioco Se Stessi. Alzando gli occhi dal registro un po’ spiegazzato dove aveva incolonnato Dare e Avere, Detto e Fatto, Saggio e Peggio per stilare il suo personale bilancio, il Collezionista avvertì come l’orizzonte fosse cambiato. Osservò che la realtà esterna scompare quando si è in balia di se stessi anche se, ogni tanto, per un attimo scantona da un angolo della strada che divide i due Isolati del Ciòchesiè e del Ciòchesivuole. Vide un orizzonte libero da ingombranti presenze e si allontanò insieme ai suoi impegni verso la grande distesa delle possibilità puntando dritto verso la landa della Molteplicità… 

Se non c’erano più che poche parole da ascoltare si rivolse a quelle scritte, ritornò sulle amate, si precipitò ad incontrare le ammirate, dialogò con le privilegiate. Gli furono di grande conforto insieme alle immagini che, in quantità impressionante e di qualità spesso ripugnante, gli scorrevano davanti ma, ormai, le preferiva alle parole dette che, cinicamente utilizzate, venivano mistificate al comodo riparo di un direttorio senza contraddittorio. Era convinto che fosse più facile per la parola tradire e mentire più di quanto lo fosse per le immagini che, comunque, sgambettavano frenetiche da molto tempo sul grande palcoscenico del Mercato. In fondo sapeva che l’immagine quando aveva mentito era perché l’avevano corrotta con un pesante anestetico: la didascalia, specializzata nell’additare un particolare, evidenziare un frammento togliendole unità ed identità, banalizzare la sua evidenza e nascondere la sua ambiguità. Farla accomodare nello sterile spazio dell’accettabilità. 

Il Collezionista si rendeva conto di quanto l’uso critico e feroce della parola fosse dominio di pochi mentre una moltitudine balbettava la propria incapacità a descrivere senza superficialità un minimo brandello di realtà. Ed ecco, la pericolosa piena delle parole usate-abusate-deprezzate-banalizzate. Si salvi chi può. 

-La civiltà dell’immagine ha soppiantato quella della parola. Ancora????!!!!?!?!?!… Ma quando la smetteranno di dire simili idiozie! Bisognerebbe consigliare la lettura di un buon testo. Oralità e abiura sarebbe utilissimo per far conoscere il fenomeno dell’oralità di ritorno, del cancan del detto fritto, della papera indiretta, della notizia ammansita con smentita.

Il Collezionista odiava le parole che si accostavano mansuete per formare frasi fatte pronte per essere, massificate, forse esportate, nel paese dei fonemi atoni, dei tratti non distintivi dei semplici palliativi. Le immagini le trovava più facili; conosceva la semplicità con cui si prostituiscono. Non si chiamava Fotografia la più pericolosa, affascinante, seducente, puttana del secolo? Quando la fecero salire sul mezzo meccanico permettendole di apparire su palcoscenici avvolti nel buio rivelò con i suoi movimenti la sua grande bellezza, il suo immenso fascino. Il pubblico restò incantato quando vide come cavalcava spregiudicata, impudente, indecente Monsieur Temps e si accoppiava docile, appagata, dilatata con Monsieur Espace. Fu l’inizio della più bella orgia ininterrotta del nostro tempo. Il Collezionista amava l’Immagine per la sua volontà inesausta di sedurre, far di sé il corpo di continue incursioni: una vera miniera per cercatori eccitati, assatanati, trasfigurati, ossessionati, maleducati. Provava un sottile piacere quando la vedeva rialzarsi agile e scatenata, dopo gustosi accoppiamenti, andare alla ribalta dei riflettori per cantare impudica e appassionata il suo ultimo successo, pronta a ricominciare anche con il primo fesso. 

Questi spettacoli colmi di magia regalavano al Collezionista l’identico piacere che provava quando uno dei suoi profumi preferiti raccolti in flaconi sfaccettati, lo inebriava con la sua penetrante essenza. Si. Metteva l’olfatto sullo stesso piano del tatto. Il Collezionista amava le Lozioni Americane. Le usava per addolcire le ciocche ribelli dei pensieri spettinati. Erano miracolose contro il disordine convulso delle percezioni. In alcuni momenti si sentiva come assediato dalle parole, dalle immagini, dagli eventi, dai movimenti, dai moventi, dai commenti, dai dementi, dai diversi, dai dispersi, dal fato, dal moto, dal vuoto stesso… se confesso! Una spruzzata di Lozione gli restituiva, con la sua fragranza, la capacità di tramare-complice con i frammenti sparsi che la realtà gli mostrava: si abbandonava al fertile gioco delle contaminazioni alle continue collisioni dei linguaggi differenti. Il Collezionista adorava la fanciullesca possibilità di lasciarsi affascinare da quelle schegge di immagini visuali nitide, incisive, memorabili che attraversavano fulminee il suo orizzonte ottico trascinate alla deriva dall’immensa piena di un’overdose di immondizia visiva. Si era addestrato con una pratica lenta quanto personale – per questo fertilopinabile – a catturare immagini: trasformarle in istantanee. Le collezionava mentalmente sapendo che anche quando fossero apparentemente scomparse sarebbero state di nuovo evocate da altre immagini. Il momento migliore era quando per il gioco bizzarro di associazioni improbabili esse riapparivano aiutate anche da una ferrea – e un po’ maniacale….diciamola tutta! – volontà del Collezionista a cercare, snidare, spulciare, perscrutare, rinvangare, spiare, frugacchiare, stanare, compulsare, fugare, scovare in contesti inspiegabili e improbabili, indecenti e relativi, risolutivi. 

Dalle immagini ripescate non cerava mai, o lo faceva con una certa fatica se non noia, di ritrovare il passato. Si divertiva quando le Immagini insorgevano contro il presente, prendevano a schiaffi il trascorso, spintonavano il futuribile, maltrattavano il passato prossimo, ingiuriavano il tempo andato. Insomma: gli movimentavano l’assedio, gli restituivano un attimo un po’ ammaccato, che, per dire la sua, farsi notare, aveva dovuto aggrapparsi a qualche scheggia di rimpianto per risalire le cattive – anche un po’ infide – correnti del Cronologico, affacciandosi assurde e beffarde, innocenti e sfinite sul davanzale delle sue palpebre. In fondo uno dei suoi grandi desideri era di rovistare nei magazzini dell’artificio, trovare oggetti d’affermazione – non era d’affezione?! Beh! È scappata così. – aiutarli a riemergere, anche solo per se stessi; preservarli dal caos, dal sottile e tragico languire del riposto: restituire colore al pallore cadaverico dell’indifferenziato. 

Le Biblioteche, le frequentava solo lo stretto indispensabile; non avvertiva l’elettrizzante piacere che si prova, a quanto gli riferivano, a star seduti nello stesso posto dove Lui aveva stilato i suoi appunti per il famoso Trattato. Anche per questo preferiva le biblioteche personali dove i libri, suoi adorati compagni, non fossero inumati in disciplinate catalogazioni. 

Contre Sainte-Beuve accanto a Specchio delle mie brame! Assurdo! Ridicolo! –

– Non sono d’accordo. –

– Ma è un pastiche! –

– Appunto. –

Il suo studio al tramonto pulsava di una luce intermittente: interruzioni ritmate da macchine in corsa sfreccianti contro il sole su un ponte immenso che tagliava in due la vista. Accanto alla scrivania, a parete, un pannello nero era affrancato da una serie di foto tenute insieme da stelle di legno calamitate, dalle quali emergeva una foto di Barthes scattata da un amico del Collezionista. Era al centro, quasi il fulcro, di una costellazione di affetti. Voleva pensare, giocando con la sua ingenuità residua, che i grandi occhi del Maestro avrebbero gettato uno sguardo amoroso sul suo procedere. Gli inviava un’occhiata complice quando, nel cercare tra gli scaffali uno dei suoi autori cari, gli capitava di scovare, riposto da tempo, un testo di cui aveva perso le tracce. Un imboscato! Al portoghese!

Ecco farsi avanti un mugolo imprevisto e inatteso di frasi, pensieri, teoremi, congetture, percorsi, geometrie, assonanze… concordanze. 

– Ma come anche lui? L’ha già scritto.

-Certo. Non so se aggiungere: purtroppo! –

– Beh! Nel migliore dei casi una conferma, comunque una pesca spassosa oltre che fruttuosa! –

Il Collezionista assaporava la giocosa eccitazione dello scopritore, dell’autodidatta disperso, sentendo precipitare dentro di sé materie diverse, frammenti di saperi eterogenei che si trasformavano in reazioni ad alto potere effervescente. Gli facevano digerire i pesanti macigni lasciati sulla strada dalla monotonia e dall’abitudine. Se i problemi digestivi diventavano gravi faceva ricorso a minuscole pillole dai colori accesi riposte in un vecchio cofanetto d’ottone dalla superficie arabescata. – Erano le sue pillole preferite: pillole d’Ironia. Gli erano state consigliate, a più riprese dalla dolce infermiera Prose, vedova fresca, che le riteneva miracolose contro i malanni dell’Assenza e della Trasparenza, portentose per ritardare gli effetti collaterali della Dispersione e della Omologazione. Ai pochi amici rimasti, gli unici a cui attribuiva le qualità dei veri amatori, il Collezionista inviava con intermittenza e per corrispondenza degli Hommages: una piccola personale raccolta di Parole-di-altri-per-altri, pensieri rubati, preservati, dilapidati, captati, liberati; francobolli d’ipotesi, schegge di presunzioni. Le faceva viaggiare su strade impervie per farle arrivare in tempo al convegno organizzato dalle Associazioni Indirette, dove avrebbero relazionato sul tema: 

Il Senso Sensato – Chi Cerca Trova.

Il Collezionista osservava ammirato gli occhi azzurri di Molly La Gatta quando la voce del Regista, suo unico fratello, lo colpì alle spalle con il punteruolo acuto della sua voce sarcastica: 

– Confessa. Preferisci gli autori che la sintassi l’hanno abolita? –

– No. Direi che le mie preferenze vanno a quelli che l’hanno disinibita. Ricordo anche le mie Posizioni predilette: la sterneriana avvolgente, la gaddiana premente, la vermeeriana allacciata, la godardiana accartocciata, la benjaminiana ascendente, la proustiana girante… –

– E per quanto riguarda il furto? Pensi di cavartela impunemente? – interruppe il Regista con una punta di perfidia. 

– Ah, su questo argomento non transigo, chiamerei a deporre sul banco dei testimoni persino l’autore di Robbery considered ad one of the Fine Arts. Egli ha dimostrato come il furto sia diventato uno degli atti contemporanei più volgarizzati. Un gesto talmente generalizzato da essere snobbato come reato. Oggi l’utopia è immaginare un furto che abbia la feroce eleganza dell’illegalità: qualcosa che rida sguaiata contro questo mare di volgarità. E poi, smettiamola con queste conversazioni! Il Collezionista avvertiva un forte spossamento, veniva quasi sopraffatto dalla noia durante queste ridicole schermaglie. Un pensiero fisso si inseriva:

– Basta con le parole! –

Forse un insano silenzio sarebbe stato necessario. Provare il tatto perfido della moderazione per riflettere su questa specie di occlusione. Il Collezionista cercò di scacciare i suoi pensieri e con un gesto automatico si avvicinò ai Tiretti dei Detti; ci stava guardando dentro quando all’improvviso un sorriso gli apparve sul viso. Osservò, frugò, scovò, giocò per tirarne fuori due che alterati nel dettato utilizzò a mò di commiato:

Onore al bizzarro che non riuscì a darcela.

Tanto va la gatta al lardo che si lascia lo stemmino. 

FINIS