un disordine ricercato

un disordine ricercato

Attrazioni / Note sul collezionismo

Analizzando l’irruzione dell’uomo privato sulla scena storica sotto Luigi Filippo, in Parigi, capitale del XIX secolo, Walter Benjamin scrive: “L’intérieur è l’asilo dell’arte. Il collezionista è il vero inquilino dell’intérieur. Egli si assume il compito di trasfigurare le cose. È un lavoro di Sisifo, che consiste nel togliere alle cose, mediante il suo possesso di esse, il loro carattere di merce. Ma egli dà loro solo un valore d’amatore invece del valore d’uso.” Nel suo testo definito “l’assemblage più onirico ed eterogeneneo che sia mai uscito dall’immaginario del surrealismo”, lo studioso considera la pratica del collezionismo come la potente forza che fa superare agli oggetti e alle cose ogni funzione utilitaristica per immergerle all’ interno di un universo pervaso dalla potenza trasfigurante del desiderio. Dopo aver ricordato la definizione di Balzac sui collezionisti, “gli uomini più passionali che esistano al mondo”, nel saggio su Eduard Fuchs Benjamin afferma che tale passione è “come la bacchetta magica del rabdomante che gli permette di scoprire fonti nuove.”. 

La volontà di allontanare il rischio della dispersione è un modo per comporre, attraverso inusuali accostamenti, complessi meccanismi di raccolta che cercano, controcorrente, di superare le standardizzate collezioni museali. Alla fine dell’Ottocento gli individui che rinnegano l’uniformità attuano una strategia per sfuggire ad un tempo storico considerato gretto, e trasformano l’interno borghese in un rifugio. Un isolamento al limite del claustrofobico, rappresentato dal personaggio emblematico della fine de siècle parigina, descritto nel romanzo À Rebours di Joris-Karl Huysmans, Des Esseintes, per il quale la dimora diventa uno spazio dominato dalla sua eclettica e sovrabbondante raccolta di oggetti. La collezione d’arte del protagonista di questa sovrumana avventura interiore assolve il fondamentale compito di nutrire un animo straziato poiché egli, secondo Huysmans, “per pascervi occhi e anima, aveva voluto delle opere suggestive, che lo trasportassero in un mondo sconosciuto, gli aprissero nuove prospettive”. 

Il collezionista Ottocentesco, per la capacità di inglobare spinta passionale e singolari visioni come vie di fuga da un universo circoscritto, anticipa alcune caratteristiche del collezionismo contemporaneo. Percorso illustrato con esemplare completezza in un recente volume di Elio Grazioli, La collezione come forma d’arte, che ne analizza l’evoluzione storica e i cambiamenti secondo una logica in cui costruzione ed espressione personale si intrecciano indissolubilmente. Egli parte dalle Wunderkammern rinascimentali per approdare al gruppo Warburghiana, operante in rete dal 2000, delineando un complesso ed esaustivo tracciato che individua nella tecnica dell’assemblaggio e del montaggio idiomi fondamentali per una pratica creativa di estrema attualità. La ricerca si concentra anche su autori quali Joseph Cornell, Claes Oldenburg fino ai recenti Karsten Bott, Madelon Vriesendorp, Stefano Arienti che hanno elaborato complessi meccanismi, ‘architetture’ concettuali formate da insiemi di oggetti d’affezione esposti come opere d’arte. 

In alcuni casi, il collezionismo diventa “modalità espressiva”, linguaggio estetico e culturale autonomo composto di due entità, il collezionista e la collezione. L’uno attua una pratica che permette di ‘legare assieme’, l’altra, dal latino colligere, assume le caratteristiche di un modello incentrato sulla scelta e sul radunare. Tale modello per Jean Baudrillard, come sostiene ne Il sistema degli oggetti, permette di rinnegare la prassi uniformante dell’accumulazione per protendere, invece, verso una visione incentrata sulla fertilità della cultura. Nelle collezioni private, passione e desiderio, condivisione ed eclettismo, eterogeneità e ammirazione si legano in modo sincronico e creano inedite polarità atte a descrivere impreviste costellazioni di rimandi simbolici e nuove ipotesi identitarie. Per il collezionista la raccolta diventa una sorta di specchio dove può riconoscersi, la proiezione di sé rivelatrice di molteplici variabili, ma il cui nucleo rimane la propria personalità poiché, secondo Baudrillard, “in realtà si colleziona sempre il proprio io”. 

Se ogni collezione può essere considerata l’autoritratto personale di un amatore, la pratica del collezionismo è diventata, nell’attualità, una calzante metafora per esprimere un modello culturale ed artistico centrale nell’estetica contemporanea. Già nel 1995 la mostra Passions privées: collections particulières d’art moderne et contemporain en France si era concentrata sulla figura del collezionista e sui suoi peculiari caratteri: il gusto della scoperta e il piacere dell’azzardo che dialogano con le pulsioni passionali e l’eclettismo bulimico, ma anche con la razionalità sistematica della raccolta. La mostra si concentrava sulle collezioni francesi e su alcuni dei personaggi che domineranno il sistema dell’arte e rappresenteranno un nuovo modello collezionistico internazionale, come il francese François Pinault. Alla recente Biennale di Venezia, curata da Massimiliano Gioni, il tema del collezionismo e del museo personale ritorna prepotentemente ad essere oggetto di dibattito, segnalando il sogno utopico di Marino Auriti e del suo Palazzo Enciclopedico, simbolo e dimora di una scienza combinatoria non “dissimile dalla cultura dell’iperconnettività contemporanea”.

La considerevole raccolta di opere provenienti da collezioni private proposta da Attrazioni è strettamente legata al rinnovato interesse per la prassi del collezionismo e per la complessa logica compositiva che la presiede. La mostra vuole essere un primo sguardo dentro una cultura e una passione testimoniate dalla particolare attenzione nei confronti dell’arte contemporanea, espressa dal territorio gravitante intorno al laboratorio per le arti visive teramano. L’ARCA ha sempre adottato una doppia ottica, affiancando ad una ricognizione dagli ampi confini indagini più circoscritte, consapevole degli attuali sviluppi proposti dalla società mediale che ha ricomposto le geografie dentro uno schema globale. Ha cercato di promuovere la riscoperta di un’identità frutto di nuove polarità all’interno di processi culturali diffusi su scala planetaria, i quali hanno provocato nuove gemmazioni terminologiche. Una per tutte quella di ‘glocale’: perfetta espressione del modello imperniato sul riconoscimento dei territori quali giacimenti culturali e motori propulsivi di una fertile creatività non sottomessa agli omogeneizzati modelli proposti dalla globalizzazione. Proprio per sfuggire alle catene dello standard si è voluto sondare le idiosincrasie, le accensioni inaspettate, le impreviste passioni, le aritmie da cui sono spesso colpiti i collezionisti davanti ad opere capaci di proiettarli idealmente in un mondo “dove le cose sono libere dalla schiavitù di essere utili”. 

Il viaggio ha avuto esiti sorprendenti poiché ad ogni incontro il paesaggio mutava. Opere dagli idiomi profondamente diversi tra loro coesistevano in spazi contigui e creavano insiemi liberi, raccolti da individualità non irregimentate, con il sogno di costruire una dimora per la bellezza abitata dalla libertà e dalla necessità. Ogni collezione delineava i contorni mutevoli del ritratto personale del collezionista, composto dall’insieme di lavori che ne testimoniavano le preferenze, i gusti, le irrinunciabili passioni. Dentro questo universo di costellazioni mutevoli si è scelto di chiedere loro una o più opere in grado di ‘rappresentarli’, di ritrarne i profili sensibili, di descriverli intimamente. Il risultato è un creativo zibaldone che trova in Attrazioni un ulteriore rimescolamento, un frastagliato montaggio di lavori, quale spaccato delle differenti identità dei collezionisti, ricomposte da configurazioni inattese. 

I percorsi incentrati sulla linearità vengono decostruiti a favore di forme aperte, come nelle diverse declinazioni pittoriche che esprimono la forte tempra tellurica e gestuale di Mario Schifano, la silenziosa e pulviscolare atmosfera atemporale di Ettore Spalletti, le trame materiche del regno floreale di Nicola De Maria, la gioiosa stenografia sentimentale di Giosetta Fioroni, l’incanto del cielo dorato solcato da candide nubi di Gino De Dominicis, le eleganti e levigate tarsie compositive di Domenico Bianchi, le baluginanti e poetiche vedute terrose di Piero Pizzi Cannella, i luminosi paesaggi dell’arcadia rivisitata di Salvo, gli estatici dervisci danzanti del magico Oriente di Aldo Mondino, l’impeto irrefrenabile del colore sugli oggetti in frantumi di ARMAN, la felice pioggia coriandolare su sfondi vibranti di Tano Festa. Nell’opera di Sandro Chia la pittura è installata su strutture scultoree, mentre nel sorprendente lavoro di Mimmo Paladino è incastonata nel segreto di preziose teche ramate. 

La sapiente qualità metamorfica del linguaggio pittorico dialoga con la fotografia e i suoi molteplici punti di vista. Immagini attraversate dall’ironia corrosiva e anarchica propria delle composizioni di Leslie Krims; prodotte dalle complesse scenografie costruite da Sandy Skoglund che materializzano mondi permeati da sogni perturbanti; utilizzate da ORLAN per messe in scena dissacranti, dove santità e provocazione incrinano modelli precostituiti; scattate da Luigi Ghirri, un maestro in grado di rigenerare i luoghi e rivelare liriche risonanze concettuali; catturate da narrazioni video incentrate su dolorose separazioni frutto di integralismi, come in Rapture di Shirin Neshat. Immagini che sono manipolate e tradotte con la xerografia, facendo balenare nuove iconografie mediali da Gian Luigi Colin, o che fissano le performance di Luigi Presicce in scatti esemplari per restituire la magia liturgica dei suoi tableaux vivants.

Un territorio mobile, quindi, composto di intrecci e trame sottese dal quale emerge anche il tema dell’habitat naturale e artificiale, espresso nell’abbraccio sensoriale e ludico dei tappeti-natura di Piero Gilardi per risarcire il mondo violentato dalla civiltà industriale; nelle trasfigurazioni proposte da Loris Cecchini mediante sofisticati software architettonici, ibridando organismi naturalistici e moduli abitativi d’invenzione. Lavori in cui il passato e il futuro si trovano imbrigliati dentro una scansione temporale fluida come nel simbolico Anno uno che ha caratterizzato un’importante fase creativa di Michelangelo Pistoletto diventando il motto di un tempo aperto all’avvenire. 

Ulteriori configurazioni si diramano con gli accostamenti tra due diversi collage: lo Studio per tutto qui di Giulio Paolini, instancabile indagatore degli statuti analitici della creazione artistica, e Istantanea di un duca morto di Fabio Mauri, progetto per la gigantesca installazione in cui l’immagine di Amedeo d’Aosta defunto invade lo spazio a commento dell’ineluttabilità della fine; tema affrontato con l’ironica, sottile giocosità nell’assemblaggio di oggetti in valigia, La zitella laboriosa e il suo testamento, dall’aristocratico outsider Antonio Marchetti.

Le intransigenti denunce contro le storture della storia e del capitalismo si esprimono, invece, con Santiago Sierra e il suo NO, portato in global tour per ribadire il perentorio rifiuto di ogni potere, delle disuguaglianze, del degrado e dello sfruttamento sociale. Reati incancellabili contro l’umano che Giuseppe Stampone, in 2 novembre 1975, disegna su una mappa dell’Italia martoriata da delitti e da pene non emendabili, dedicata alla tragica morte di Pier Paolo Pasolini: il rimpianto testimone animato da autentica, civile passione.

Attraverso il variegato arazzo tessuto con le opere di artisti di diversa estrazione e con i loro plurimi linguaggi, Attrazionicompone un eclettico puzzle concettuale, un montaggio creativo per sviluppare ordini che, utilizzando le riflessioni di Didi-Huberman, citate da Grazioli, sono gli ordini “delle “corrispondenze” (per dirla con Baudelaire), delle “affinità elettive” (per dirla con Goethe e Benjamin), delle “lacerazioni” (per dirla con Bataille), o delle “attrazioni” (per dirla con Ejzenštejn). […] Modo di esporre la verità disorganizzando, dunque complicando e insieme implicando – e non spiegando – le cose.”. Un metodo che cerca di stimolare la volontà dello spettatore a farsi creativo interprete di un percorso di senso sempre diverso a seconda di chi guarda. Attrazioni vuole essere un dono, come il titolo della scultura di Mimmo Paladino posta a chiusura della mostra; emblematico esempio di civil education realizzato con la generosa disponibilità di collezionisti i quali hanno offerto per un periodo i loro ‘oggetti d’affezione’ a uno spazio pubblico; un’opera di condivisione al fine di scambiare idee e avviare un dialogo su idiomi, in alcuni casi, di difficile decifrazione, come quelli dell’arte contemporanea, espressi dall’inesauribile forza interrogante e dal fascino di una bellezza che non smette di attrarre. 

Riferimenti bibliografici

Jean Baudrillard, Il sistema degli oggetti, Bompiani, Milano, 1972.

Walter Benjamin, Parigi, capitale del XIX secolo, Einaudi, Torino, 1982.

Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 1991.

Massimiliano Gioni, Il Palazzo Enciclopedico, Marsilio, Venezia, 2013.

Elio Grazioli, La collezione come forma d’arte, Johan & Levi Editore, Torino, 2012.

Joris-Karl Huysmans, Controcorrente, Garzanti, Milano, 1975. 

Suzanne Pagé, Passions Privées: collections particulières d’art moderne et contemporain en France, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, 1996.