un disordine ricercato

un disordine ricercato

L’enigma dello sguardo

Non dobbiamo temere questi silenzi, possiamo amarli. John Cage

La Muta è un enigma. La sua identità controversa la pone in una sorta di terra di nessuno, in uno spazio assoluto dominato dalla calma solenne della sua posa. Le mani, giunte e ingioiellate, serrano un fazzoletto, una stoffa che potrebbe adombrare dolenti trascorsi di lacrime e lutti.

La gamurra verde, di rarefatta eleganza senza esibizione, dopo il restauro si illumina di una luce radiante all’altezza del cuore. Un centro di luce che crea un ulteriore punto focale concentrato, fino ad oggi, sullo sguardo, su quegli “occhi neri pensosi”secondo Adolfo Venturi. Occhi interroganti in grado di oltrepassare il silenzio di labbra serrate per esprimere il malinconico dolore di una composta sofferenza. Lo sguardo de La Muta, emanato da un volto che, come il suo modello leonardesco, non conosce sorriso , ha la forza dell’umano interrogare. Dirà Andrej Tarkovskij: “uno sguardo umano – ed è come se ti fossi accostato a un divino nascosto”. Il capolavoro di Raffaello si pone su un crinale dove l’espressività dello sguardo fa da contraltare all’impossibilità della voce.

La Muta, alla stessa stregua di ogni dipinto, non è concesso nessun dialogo. Nessuna quotidiana conversazione attenua il suo essere rappresa, ingabbiata dentro un silenzio che non può essere superato se non da uno sguardo in grado di parlarci. L’opera, restituita a nuova vita dalle mani sapienti dei restauratori dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, ha un inatteso cuore di luce magicamente sortito da una superficie pittorica sottilissima, costruita con sovrapposizioni di velature impercettibili e pennellate impalpabili. È come se tornasse a respirare rinnegando le tenebre che la avvolgono e sulle quali si staglia regale.

Il dialogo tra luce e ombra in quest’opera immortale è un raffinato discorso sulla luminosa vitalità dei sentimenti che irradia il suo riverbero verso l’osservatore, spingendo lo sguardo a celebrare unnuovo principio. Guardare La Muta restaurata riporta alla mente le parole di John Berger: “La luceesiste come un continuo eterno principio. Invece l’oscurità non è, come spesso si crede, un attoconclusivo, bensì un preludio”.

Preludio ed eterno principio si trovano intrinsecamente legati nel capolavoro di Raffaello, e il mutismo malinconico trascolora verso le interrogazioni colme di parole non dette, evocate dallo sguardo implorante l’ascolto. L’enigma irrisolto de La Muta è in questo luminoso, eterno principio della luce nata da un oscuro preludio di ombre. Il suo insoluto segreto ha la potenza delle domande che contemplano molteplici risposte, scaturite da tutti gli sguardi che si sono posati su essa.

In un crinale dove l’enigma e lo sguardo sono intimamente connessi si sono esercitati i giovani artisti dell’Accademia di Belle Arti di Urbino e del Royal College of Art di Londra: sondare il mistero de La Muta e offrirne una chiave interpretativa contemporanea. Ecco, quindi, approdare nella casa natale di Raffaello le incenerite visioni di Ettore Frani che veleggiano verso gli ombrosi spazi della notte nella Silenziosa, emersa, come per magia, da un luogo oscuro; la lotta con il capolavoro raffaellesco di Matteo Fato che, su un fondo di specchio pone, con un consapevole azzardo, la sua versione pittorica della gentildonna, con le labbra attraversate dalla luminescenza abbagliante ed urlata di un neon; la voluta bad painting di Alex Gibbs il quale, con intelligente irriverenza, traduce su fogli di giornale una vita di coppia dove nudità e atti corporali convivono senza tabù.

Lucy Mayes riprende i prodigiosi particolari dei merletti e delle trine che impreziosiscono l’abito e li sottopone ad una verifica strutturalista, trasformandoli in pattern iconici per un’installazione dove il senso di imminente pericolo e pesca fortunosa giocano un’inedita partita concettuale. L’installazione di Chu-Ting Lee, invece, si concentra su un paio di scarpe adagiate su morbidi velluti, da cui emergono mani imploranti, mentre si ode in sottofondo l’incedere sonoro di passi in arrivo.

Il tema del ritratto viene affrontato da Dario Picariello con una foto in cui La Muta cela il volto nella scia di una lunga treccia che si fonde in un cuscino dove si creano, grazie a mani sapienti e fusi, preziosi ricami di antica tradizione. Lo stesso tema ritorna nell’opera di Paula Knorr: un trittico realizzato con una video-installazione in cui tre figure femminili ribaltano, attraverso un gioco di posture seduttive e irriverenti, lo sguardo attonito della gentildonna raffaellesca. Cibelle Cavalli Bastos, offrendo al pubblico un asettico sgabello e uno specchio, accompagnati da precise istruzioni, mette in scena un atto partecipativo di natura concettuale cherimanda direttamente all’opera e crea un intrigante gioco di rispecchiamenti. Anche Vivi Raila lavora sull’attuale tema del selfie, ma, in questo caso, è lei ad interpretare, indossando raffinati abiti dagli accenti neoromantici, le molteplici identità de La Muta con una serie di autoritratti postati sulla piattaforma di Instagram e inviati nell’infinito spazio della rete.

Tre artisti, invece, hanno lavorato sul tema dell’abito. Hanno ideato modelli realizzati da sapienti sarti e orafi del territorio marchigiano in un connubio tra alto artigianato e arte che ha sortito felici esiti. Giorgia Tribuiani idea un abito-scultura completamente bianco per evocare una mancanza di tono, un candido, abbagliante silenzio, rivestitondi pacata eleganza formale. Anna e Laura Facchini propongono una muta guerriera dagli accenti ironici e circensi, la quale indossa abiti istoriati con simboli irriverenti che invadono anche le pareti con un intervento di urlato decorativismo. Decori che vengono rinnegati da Andrea La Rocca per far trionfare il nero del lutto e dell’ombra, maattraversato da rosse cromie. Su un manichino, una cappa nera dall’immensa cerniera fa intravedere una sottana vermiglia e fa pendant con una scatola contenitore dalla quale emerge un prezioso anello contemporaneo d’oro bianco con incastonato un rubino, simbolo di prosperità.

Le intriganti visioni offerte dalle personali interpretazioni dei giovani autori sono la testimonianza tangibile di quanto possano parlare i capolavori, anche quando li sappiamo muti. Il mutismo, in questo caso, si trasforma in un segreto; un enigma che cattura lo sguardo e lo spinge verso un altrove. Nello spazio delle eterne interrogazioni dell’arte. Oltre il silenzio.