un disordine ricercato

un disordine ricercato

La Grazia della compagnia.

In un passo del suo classico studio sul totalitarismo, Hannah Arendt argomenta in maniera esemplare come l’identità individuale sia indissolubilmente legata agli altri e la compagnia diventi una strategia salvifica che, grazie al dialogo, restituisce all’individuo il timbro riconoscibile della sua unicità. La studiosa tedesca scrive: “Per la conferma della mia identità io dipendo interamente dagli altri; ed è la grazia della compagnia che rifà del solitario un ‘tutto intero’, salvandolo dal dialogo della riflessione in cui si rimane sempre equivoci, e ridandogli l’identità che gli consente di parlare con l’unica voce di una persona non scambiabile”. 

Molto spesso nel ‘sistema dell’arte’ circola l’idea che l’artista sia un unicum, per certi versi autoreferenziale, la cui integrità rischia di essere ‘contaminata’ a contatto con l’altro. La visione della filosofa tedesca ribalta la prospettiva, allontanando il soggetto dal pericolo del soliloquio, e offre il dono insostituibile del confronto quale materia viva che forgia la sua identità incommutabile. 

Le parole della Arendt descrivono perfettamente la volontà messa in campo dall’Accademia di Belle Arti di Urbino, fin dalla prima edizione, con l’evento Surprize: mostrare, attraverso il dialogo, il suo modello didattico culturale, ponendolo a confronto con le opere provenienti da istituzioni e dipartimenti universitari internazionali. Una volontà consolidata attraverso il sostanziale raffronto con modelli formativi esteri, grazie alle collaborazioni che hanno visto protagoniste prestigiose istituzioni turche, greche e, in questa occasione, il Royal College of Art di Londra e l’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo. L’interlocuzione si è cementata, ormai da un triennio, anche con il territorio grazie al contributo della città di Pesaro e della Fondazione Pescheria, che hanno generosamente messo a disposizione il loro spazio espositivo deputato all’arte contemporanea. 

Surprize vuole essere un ponte che si propone di superare anche i confini europei instaurando un dialogo aperto sulle metodologie e i molteplici idiomi espressivi propri delle arti contemporanee. Infatti le opere che approdano negli spazi del Centro Arti Visive Pescheria dimostrano in modo inequivocabile come l’arte contemporanea, per utilizzare le parole di Angela Vettese, “si fa con tutto”; essa, cioè, ha ampliato i suoi codici espressivi e rinnovato i linguaggi declinandoli con una varietà di tecniche e contenuti tali da diventare un territorio inesauribile di indagini e ricerche. La novità è che le stesse discipline si aprono a contaminazioni e crossover metodologici che non rispettano modelli precostituiti, proponendo inediti attraversamenti disciplinari. La grafica d’arte, per molto tempo considerata una sorta di classico linguaggio ancorato alla tradizione, si muove in modo anfibio e si indirizza verso territori concettuali con Numbers di Alessandro Gismondi, Appunti di un viaggio da cui non sono tornato di Giulia Sensi, e 11.04.2030 di Michele Berta, oppure dialoga con l’installazione Non morderti la lingua di Stefano Regazzo o Memorie di un vigile urbano di Guido Ravanelli. 

Un dialogo intrapreso anche da Decorazione che, almeno nell’istituzione urbinate, ha avuto sempre un’attenzione particolare per le ricerche installative ed ambientali come testimoniano i lavori di Ilaria Benvenuti, Outgrowths of an Excitatory Theory, e di Alberto Rota, Prigionieri sul pisello

La stessa ricerca scultorea viene disarcionata rispetto ai tradizionali costrutti formali e si interseca con la fotografia e la pratica della body art usando degli stencil in Artic di Federico Ferroni; recupera l’objet trouvé per offrirgli vita propria nell’opera dei ME(A)LS, In Spite of Everything I Still Love you (Secretly); si colora di questioni mistiche e razziali in The Construction of Blackness II, di Barbara Majek, di seduzioni olfattive con le piccole porcellane salvate dai junk-shop e rivestite di spezie per celare fratture nel lavoro di Darren Neave. 

Le nuove tecnologie esprimono la loro perfetta aderenza al contemporaneo e al mondo della comunicazione nelle rigorose composizioni formali di immagini costruite da Luya Wang con In Between Places, nelle sperimentazioni video, Eye Roll di Matilda Wace e The Perfect Obstruction di Nicola Paci, nell’utilizzo delle affissioni urbane per esortare a non cedere proposto da Insieme vuoto di Francesco Di Vaio.

Il vitalismo della pittura e del disegno, elementi fondativi nelle Accademie e nelle Istituzioni di Alta Formazione, alberga nel loro essere linguaggi irrinunciabili per la creatività. In ogni caso la loro sopravvivenza, in un’epoca in cui l’immagine dilaga senza che vi siano argini da opporre al suo smisurato potere, si fonda sulla inesauribile capacità di evocare mondi unici, che soltanto la prassi lenta, riflessiva della mano ha la forza di estrarre dal magma dell’indistinto e offrirceli in dono.

La sapienza del disegno viene riconsiderata anche da un punto di vista tecnico, trovando nella penna Bic, che ha una significativa percentuale d’olio, il mezzo ideale per trascrivere il profondo blu quale sfondo delle fantasie d’oriente in Matrimonio di Simone Giacchetti; i potenti volti dei personaggi di Philipp Orlov vengono, invece, tradotti per mezzo del nero carboncino; con il disegno litografico, Ekaterina Samoilova ritrae l’enigmatica figura fantasy di Tom Reddl; la tecnica del frottage è usata da Abigail Jouanides per realizzare Under the Heaviest of Blanketes, una superficie modulata e vibrante di raffinato minimalismo che sembra celare qualcosa. 

Un senso di enigma e tragedia, forse qualcosa è nascosto sotto il tappeto, viene richiamato dalla pittura ‘acquerellata’ di Alexey Gira con Cain and Abel; sulla leggerezza delle velature che permette di descrivere diversi piani e presenze è costruita anche l’opera di Riccardo Michelini, Presenza e assenza; una leggerezza di cui si nutre anche Luca Guidotti con Il pastore, una pittura su carta che in trasparenza crea, grazie al disegno, mondi in perenne dialogo. Più materica e composta da diversi registri è la pittura di Eva Lantseva-Helki che commemora con The Entombment of Christ la dolorosa sofferenza contemporanea. Due opere si concentrano su una pratica di azzeramento cromatico: Alan Silvestri, con Notti rotonde del grande pino, trova solo un accenno di colore in una notte nevosa rischiarata dalla luna; Mikail Tishanov dipinge Why are you Crazy, Hugo van der Goes?, scegliendo il rigore del bianco e nero trattato con sapienza per formulare una domanda, probabilmente provocatoria, sulla follia di uno dei grandi maestri dell’arte fiamminga.

A questa carrellata di notevoli lavori, frutto di ricerche individuali, che compaiono in mostra e in catalogo manca un’opera significativa per il nostro discorso iniziale: Fotoromanzo. In una foresta di_segni, una raccolta di ‘polaroid con didascalia’ impaginata in un pannello e firmata da Francesca Della Martera, Emma Gregori, Lucia Lancellotti e Valentina Lillini. L’opera è un frammento, un documento dello spettacolo andato in scena nell’Aula Teatro dell’Accademia e realizzato dalla Scuola di Scenografia. Lavoro prezioso, perché vuole essere una eco di ciò che significa creare insieme: la magia sprigionata dalla grazia della compagnia quando mette in campo l’unicità frutto di un progetto condiviso, di un dialogo realizzato.

Surprize vuole ribadire tutto ciò e continuare ad essere l’occasione, lo spazio per un sano e felice incontro di giovani avventure e di formazione sperimentale. Un momento di salutare valutazione dell’eccellenze in campo, grazie alla qualificata giuria che assegna i premi a delle sorprese. 

Bisogna mettersi in gioco, non rinunciare alla forza propulsiva propria di ogni autentica scoperta e, seguendo il pensiero di Brian Eno, abbandonare la pur rassicurante comfort zone perché “le cose migliori si ottengono in uno stato di sorpresa”.