un disordine ricercato

un disordine ricercato

Ritrovando lo stupore

Osservando l’immagine

Oggetti sparsi e alti supporti sono accanto a materiali eterogenei, tra i quali si intravedono polaroid appoggiate su tele e piccoli legni. Un neon dai riflessi bluastri e violacei è inanellato dentro cornici accatastate. Forbici in bilico su chiari supporti producono ombreggiati riflessi. Un blocco d’argilla, una lastra di rame, un piccolo dipinto appeso a parete e foto dai risvolti oscuri rivelano la natura del luogo:uno studio d’artista.

Fermalibri metallici con batacchi finemente lavorati serrano album chiusi, occhiali ottocenteschi sono poggiati accanto a piccoli legni nodosi, come fossero nature morte dalle composizioni incongrue. Sono le testimonianze del gusto particolare di una persona creativa con la tendenza a collezionare reperti singolari e raffinati oggetti d’affezione.

A parete, incorniciata da angoli di scotch blu cobalto, leggiamo una scritta posta tra parentesi, (Osservando la parola), e, con una grafia che ricorda i caratteri di una vecchia macchina da scrivere, leggiamo un nome: Matteo Fato.

Il tutto suscita l’idea di una scenografia fatta di appunti e note progettuali per un allestimento dove la caotica presenza di elementi evocano il caos che anticipa la creazione.

Nell’immagine, come in un rebus cifrato, i significati sono traslati, i codici visivi tendono ad intrecciarsi e la ricerca del nascosto si inscrive nello sguardo di chi indaga. Si crea un movimento di continui rimandi, ed il complesso disegno che ne scaturisce tende a tradurre visivamente la parola piuttosto che pronunciarla: la guardiamo attraverso la personale lente dell’arte capace di evidenziare, nell’apparente disordine, frammenti di verità.

Un’immagine che invita a compiere un viaggio dentro i linguaggi della pittura, del disegno, della fotografia, del video e dell’installazione, indagati con rigore, negli anni, da Matteo Fato. Per l’autore è un ritorno all’origine, la creazione di una nuova dimora dove la parola, dopo essere stata svelata, può essere osservata.

Osservando la parola 

Con (Osservando la parola) Matteo Fato approda nella Bottega Giovanni Santi ad Urbino. L’immagine che abbiamo precedentemente osservato era una stanza dello studio dell’autore in cui aveva preparato, dopo attente riflessioni, le opere che sono installate nelle sale espositive della casa natale di Raffaello. La dimora dove il giovane Raffaello era cresciuto è un luogo-simbolo per qualsiasi artista, uno spazio dell’anima, e Matteo Fato, formatosi artisticamente ad Urbino, prima di sviluppare il nuovo progetto artistico ha attraversato le storiche stanze della casa. Ha scoperto le sale superiori che non conosceva e, come in un viaggio nel tempo, è andato in cerca di oggetti e visioni.

Tra i tanti elementi suggestivi osservati, viene colpito da una lampada che scende dal soffitto. L’oggetto è uno stereotipo, venduto come gadget turistico della città, ma è anche la traduzione tridimensionale di un disegno di Leonardo da Vinci pubblicato nel celebre trattato di Luca Pacioli, De Divina Proportione. Matteo Fato vede la lampada come emblema di quella raffinata cultura rinascimentale fatta di complessi rimandi concettuali e concepisce la mostra come una riflessione sul valore degli oggetti, mentre la parola, trascritta e resa reale dal disegno e dalla pittura, diventa il modello assoluto.

Come primo atto decide di ripartire da una sua opera pittorica realizzata nel 2003, Senza titolo con sciarpa. L’autore recupera il lavoro da una collezione privata per esporla come una sorta di ready made, un oggetto simbolico che aveva chiuso un ciclo pittorico iniziato alla fine degli anni Novanta. Infatti, Matteo Fato si dedicherà per lungo tempo al disegno e all’animazione, ma soprattutto allo studio della pittura calligrafica derivata dall’antica tradizione cinese dove i legami tra scrittura e pittura, fra immagine e parola diventano inscindibili.

Egli produrrà un’opera in bilico tra gli idiomi fluttuanti del visibile e del dicibile; una ricerca che lega insieme il pensiero analitico, i giochi linguistici di Wittgenstein e le concezioni formali di Shih T’ao, raffinato artista cinese della dinastia Ming. Matteo Fato educherà la mano con ardui esercizi per trascrivere con enormi pennelli e prodigiosa fluidità un repertorio iconografico molteplice. Farà incontrare animali e uccelli, svettanti alberi e filiformi arbusti, persino granitiche rocce in un abbraccio poetico e vibrante, depurando la forma da ogni residuo di compatta immobilità e di rigida compostezza.

Per Matteo Fato ritrovare la pittura nel momento in cui espone ad Urbino nella casa natale di Raffaello è come ritornare all’origine. Un’origine che, in ogni caso, cerca nuovi codici espressivi nell’installazione, ospitando continue traduzioni e slittamenti formali e facendo convivere pittura e disegno, video e fotografia, oggetti e neon. La logica che presiede il progetto è quella dell’accostamento, apparentemente casuale, di elementi per creare una narrazione ammantata di segreto.