un disordine ricercato

un disordine ricercato

Monogrammi

Nel 1951, Theodor W. Adorno dà alle stampe uno dei classici della riflessione filosofica contemporanea: Minima Moralia, Meditazioni della vita offesa. Attraverso centocinquantatré aforismi assemblati in un montaggio eterogeneo, il pensatore tedesco fa emergere la visione culturale che si staglia all’orizzonte della società occidentale dopo la grande tragedia della seconda guerra mondiale. La forma del frammento, che l’autore definisce persino “briciole”, diventa funzionale per delineare una deriva dove il soggetto stesso sembra dissolversi. Egli scrive: “Oggi che il soggetto è in corso di sparizione, gli aforismi fanno propria l’istanza che proprio ciò che sparisce sia considerato come essenziale.”. 

Per Adorno il frammento è uno strumento per guardare con libertà il negativo incombente. Una visione riconducibile al paesaggio che si staglia davanti alla nostra stringente attualità dominata dalla guerra, dalla pandemia, dal collasso climatico, da una regressiva scomparsa del soggetto nell’agorà di una società ammantata di incertezza. Se negli anni Cinquanta il filosofo tedesco voleva esprimere “l’esperienza dell’intellettuale nell’emigrazione”, oggi il suo pensiero, nell’epoca dell’erranza dolorosa e inemendabile, contrapposta all’accoglienza permessa solo se certificata, diventa di estrema attualità.

Dall’aforisma 122 di Minima Moralia, Monogrammi, prendiamo un inciso che sarà il filo di Arianna con il quale affrontare il labirinto del nostro percorso creativo: “L’amore è la capacità di avvertire il simile nel dissimile.”. La frase sarà una bussola nel magmatico mare in tempesta del nostro presente, poiché ogni artista, ogni intellettuale, ha come obbligo morale di essere portatore di differenza. Tale differenza, comunque, sarebbe sterile se non fosse permeata di un amore, di una passione in grado di riconoscere il simile e ricondurre le contraddizioni all’interno di linguaggi e contenuti che non rinneghino l’idea di riscatto e di salvezza. Io Amo Te. Io (individuo / differenza) Amo Te (altro / simile). Tenteremo di riconoscere “il simile nel dissimile”.

Sei artisti 

Se l’arte riflette sull’amore che rinnega il banale sentimentalismo per diventare forza attiva “capace di avvertire il simile nel dissimile”, di farsi portavoce di un discorso sull’altro, tanto urgente quanto inderogabile come nella realtà attuale, l’artista deve mostrare come la propria irrinunciabile differenza nasconda un sottostrato di similarità, spesso palese, in altri casi sottaciuta.

Io Amo Te raccoglie l’opera di artisti e creativi di differenti generazioni, i quali utilizzano molteplici media espressivi e che nella quasi totalità dei casi spaziano dalla pittura alla scultura, dall’installazione al video, riscoprono la pratica del disegno e dialogano con le nuove tecnologie.

Giuditta Branconi

Ecco apparire i luoghi ideali di Giuditta Branconi, territori dell’anima dove riecheggiano armonie paradisiache che possono mutare, per improvvisi richiami inquietanti, in scenografie per testi dolorosi propri di un teatro della crudeltà. Idilli e inganni si sovrappongono. Figure femminili nascono da anfratti dove arborescenze, fiori, piccoli uccelli in volo diventano il concerto visivo di una sinfonia accompagnata da putti e frammenti decorativi barocchi come nel suo Battesimo di fiori. Nelle recenti opere un’armonia segreta è orchestrata attraverso il dialogo incessante di iconografie e simboli prelevati senza alcuna sudditanza con i quali compone narrazioni che richiamano le fantasie ribollenti di Angela Carter o le tessiture fantastiche di un artista outsider come Henry Darger. Giuditta Branconi crea un singolare ed effervescente universo in perenne dialogo con l’irreale, grazie ad una tecnica inedita: dipinge e interviene sia davanti che nel retro della tela ottenendo un suggestivo effetto in bilico tra l’impronta di una sacra sindone e lo schermo magico dello specchio di Alice. Un dialogo speculare tra evidente e nascosto che offre all’osservatore un mondo d’incanto pronto a trasformarsi in enigma.

Fabrizio Cotognini

Se Giuditta Branconi si sofferma esclusivamente sull’universo femminile, Fabrizio Cotognini viaggia nel tempo per mezzo di una eclettica e sorprendente concezione della storia, adottando una visione della memoria quale enorme tesoro da saccheggiare per creare una sorta di archeologia contemporanea. La sua abilità nel disegnare è il grimaldello con il quale realizza invenzioni lussureggianti, estratte dal buio del tempo. Egli fa affiorare figure dialoganti, apparizioni contigue, trascrive frammenti di storie, appunti e riflessioni che contornano o accompagnano personaggi della storia dell’arte, figure mitiche della letteratura, iconografie cabalistiche. Fabrizio Cotognini fa compiere alla storia una torsione concettuale rinnegando l’impostura della copia per costruire uno spazio delle libere associazioni che connettono frammenti di armature, entomologia, decorazioni, ornitologia, fiaba. Un mondo unico, dove è possibile far incontrare Jean-Henri Fabre con Collodi, eminenti scienziati e antichi condottieri, mandarini orientali e personaggi wagneriani. Uno zibaldone ricco di rimandi per ribadire la magica vitalità del disegno con cui l’artista costruisce la sua personale Wunderkammer colma di meraviglie.

Giuseppe Stampone

La sapiente tecnica del disegno ha nutrito anche l’immaginario di Giuseppe Stampone il quale, con la spericolata scelta di utilizzare la penna Bic, vista la sua difficoltà esecutiva, ha creato un mondo unico e versatile. Un percorso iniziato con i celebri abbecedari, amplificato con i ritratti, fino ad approdare ai recenti lavori su tavola, Past to the Future, dove l’autore diventa una sorta di medium che evoca artisti sommi e le loro iconiche opere. Egli richiama a nuova vita presenze per reinventare interni abitati da Marcel Duchamp, Kazimir Malevič, Johannes Vermeer e arredati con opere di Gustave Courbet, Frida Kahlo, Giorgio Morandi. Rebus non facilitati, tradotti da un arazzo di sfumature e da impasti dalle iridescenze blu di particolare luminosità come nelle Vedove Blu, create con lo speciale inchiostro prodotto dalla Bic appositamente per l’artista. In ogni caso la febbrile ricerca di Giuseppe Stampone non ha mai abdicato al facile richiamo di una pur raffinata estetica. Egli, rispetto alle urgenti riflessioni sulle distorsioni dell’educazione e della comunicazione nella società globale, ha sempre espresso una intransigente posizione politica. Ha segnalato le drammatiche emergenze sociali come nel progetto Emigration Made in cui disegno, scultura, installazioni esprimono una visione etica e una denuncia politica senza fraintendimenti.

Luigi Carboni

Se l’opera di Giuseppe Stampone si è sempre incardinata su temi dai risvolti sociali, quella di Luigi Carboni si è indirizzata verso una ricerca attenta ai rigorosi aspetti formali della pittura, orchestrata sui canoni, sempre rinverditi, dell’equilibrio e della raffinata bellezza. Nella sua attuale indagine egli si concentra principalmente sul disegno e sul suo valore fondante quale linguaggio alla base di molte espressioni artistiche. Con il ciclo di lavori intitolato Ridisegnare, Luigi Carboni esplora le qualità espressive della linea continua posta al confine fra schizzo e scarabocchio: una stenografia gestuale che in alcuni casi fa affiorare, fra i grovigli di una superficie astratta, una figurazione febbricitante di corpi femminili in pose erotiche. L’artista ci invita ad esplorare spazi nei quali non si intravede una sicura via d’uscita, dominati da linee serpentinate che deformano le prospettive e le anatomie dei corpi quasi contorti. Le opere di Carboni esprimono un dinamismo che genera una vitalità convulsa attraverso il segno di una mano guidata da desideri inconsci. Egli, rinnegando uno stabile centro di gravità, trasforma la tela in uno schermo dove disegna una efficace metafora della contemporaneità sempre più ingarbugliata, in cui si corre il rischio di sprofondare.

Matteo Fato

Matteo Fato, pur sperimentando con indomita volontà, pittura, disegno, incisione, fotografia, ha come suo linguaggio espressivo di elezione la pittura. La sua ricerca pittorica dagli accenti espressionisti, materica, incardinata su una figurazione vibrante, ha esplorato i temi del ritratto e del paesaggio con singolare riconoscibilità. L’artista ha rinnegato da tempo la bidimensionalità della tela per comporre un originale modello di pittura installativa, trasformando le casse da trasporto in cornici-contenitori, supporti e articolazioni che ospitano piccole tele, chiamate dall’artista “puliture di pennello”: scie e grumi di colore, una sorta di firma concettuale con la quale attesta la fine di un lavoro. Con Nuvole Tigri, Matteo Fato compone un poetico racconto realizzato con tutti i linguaggi a lui congeniali. Con la fotografia narra le sue sortite per dipingere en plein air, fissa nuvole di passaggio su cieli azzurri, appunta nature morte dagli echi morandiani. I disegni materializzano uno schermo oscuro di segni convulsi, angeli caduti in volo, amanti teneramente abbracciati, oggetti e accessori quotidiani. Con grande maestria dipinge tigri di efficace resa realistica pur non adottando nessun espediente verista. Due monotipi compaiono per evocare, tra segni astratti, il ghigno inquietante di nuvole dentate: Nuvole Tigri.

Georgia Tribuiani

Diverso è l’universo espressivo di Georgia Tribuiani, la quale vive negli Stati Uniti e lavora da molti anni con importanti studi a Los Angeles nei settori della grafia animata, del graphic design e della pubblicità. In tempi più recenti il suo lavoro si è indirizzato principalmente nel campo della regia girando brevi film autoriali come White Fur dove mette in scena, ispirandosi al celebre Narciso del Caravaggio, una lirica del raffinato poeta americano Mark Wunderlich. Un lavoro decantato ed essenziale, non incagliato nelle secche di un freddo minimalismo, ma in cui risuonano gli accordi e le immagini di una natura benigna che accoglie la radicale differenza di una figura albina. Anche i lavori realizzati per marchi di nicchia o grandi case di moda quali Hermes, Etro, Hugo Boss mantengono la forte cifra distintiva di Georgia Tribuiani che rimanda ai capolavori dell’arte antica e alle suggestioni delle avanguardie. Il suo tocco singolare amplifica le strettoie delle narrazioni troppo concentrate dello spot come nel caso di The Hunger, commissionato da VOGUE Italia. Due figure compostamente sedute a tavola e circondate da sonorità stranianti ad un tratto trasformano, con accenti imprevisti e surreali, il tavolo in un ring dove incombono pericolo e sensualità. Alla fine tutto si ricompone e, ridotta la distanza, la tensione è pacificata. Un gioiello di narrazione breve, che dimostra la sensibilità artistica di una creativa al di fuori delle regole.

La forza vitale dell’arte

L’ARCA, il laboratorio per le arti contemporanee di Teramo, dimostra la sua vitalità ospitando di nuovo un evento particolare: Io Amo Te. La mostra celebra con una collettiva di artisti che nel tempo hanno esposto nelle sue sale, insieme ad una giovanissima autrice, un lustro di importanti esposizioni. Anche in questo caso la bellezza e la creatività risultano pedine fondamentali con le quali costruire un concreto patrimonio da offrire alla comunità e alle generazioni a venire. Un’arca che dia riparo e ospitalità alle singole diversità, creando uno spazio d’incontro, dove poter sperimentare senza conflitti la ricchezza dell’arte in grado di aprire nuovi mondi e prospettive inedite; dove donare il conforto di una resistenza che non si muova su terreni belligeranti, ma negli studi di artisti che in modo infaticabile, spesso stremati e senza la impossibilità di abbandonare il campo, lottano per affermare il desiderio di trascrivere realtà, inventare sogni, premonizioni, i quali, senza la loro dedizione e il loro lavoro, non si sarebbero mai materializzati.

Le opere che approdano negli spazi de L’ARCA con Io Amo Te intessono un dialogo tra accenti autoriali dissimili, ma generati dalla stessa volontà di non arrendersi all’afasia determinata dallo smarrimento e dal naufragio di senso che in alcuni momenti avvertiamo intorno a noi. Autori che lavorano per affermare il potere della creatività e della cultura e ci offrono la possibilità di trovare il balsamo con il quale alleviare dolorose ferite: la forza indelebile e vitale dell’arte.

Questi artisti hanno accettato la sfida di creare in ventiquattro pagine sei diversi racconti visivi 

attraverso il montaggio per frammenti di opere pittoriche, foto, disegni. Composizioni dai molteplici significati combinatori con le quali inventare storie che esprimono forti differenze pur essendo legate da un obiettivo comune: ritrovare il simile nel dissimile, riecheggiando la verità che ognuno ritrova nell’incipit di The White Album di Joan Didion: “Noi ci raccontiamo delle storie per vivere.”.

Umberto Palestini