un disordine ricercato

un disordine ricercato

Una Factory nel Montefeltro.

La stamperia Arti Grafiche della Torre vede la luce nel 1992, grazie all’intuizione di Andrea Sanchini, da una costola di uno dei più rinomati editori e tipografi legati alla calcografia della provincia feltresca, Piergiorgio Spallacci delle Edizioni della Pergola, con cui collaborano significativi artisti come Enrico Baj, Hans Richter, Roberto Crippa, Emilio Scanavino, Sandro Chia ed Eliseo Mattiacci. Il contributo di Sanchini diventa sempre più decisivo fino alla scelta di far nascere un nuovo spazio che annovera per alcuni anni lo stesso Spallacci. Nello stimolante ambiente si solidifica la già consolidata professionalità della nuova stamperia, con la preziosa collaborazione di Giulio Serafini, calcografo e artista. 

D’altro canto Sanchini e Serafini si sono formati nell’Istituto d’eccellenza per la calcografia in Italia, la Scuola del Libro di Urbino. I giovani allievi seguono le lezioni negli storici spazi di Palazzo Ducale, dove ha sede in quegli anni la scuola, studiando con i grandi maestri dell’incisione urbinate, Leonardo Castellani, Giorgio Bruscaglia, Carlo Ceci. Di quest’ultimo, Andrea Sanchini, dopo gli studi, rivestirà per un biennio il ruolo di assistente stampatore per i corsi estivi.

Arti Grafiche della Torre viene fondata su solide basi professionali, diventando uno spazio messo a disposizione degli artisti, che rigetta la obsoleta concezione di stamperia come distributore, ma si inserisce direttamente nel mercato d’arte grafica, attraverso il lavoro editoriale per importanti gallerie. Fondamentale è l’apporto diretto degli artisti volti alla ricerca di metodi e di nuove tecniche espressive. Per tali ragioni il suo obiettivo, felicemente raggiunto, è di essere uno strategico centro di intermediazione tra galleristi e artisti.

L’intermediazione non favorisce un semplice rapporto di relazione, ma sviluppa una fertile sinergia tra artista e stampatore instaurando un legame simbiotico, idoneo a sviluppare nuove sperimentazioni. Un piano dinamico costruito sulla sintonia poiché lo stampatore deve comprendere il progetto artistico e suggerire appropriate modalità tecniche di realizzazione, mettendosi al servizio dell’autore non come semplice esecutore, ma come complice ed artefice del lavoro prodotto. A lui si chiede competenza e duttile operatività in quanto lo stile di un artista deve essere rispettato, anche quando usa un linguaggio differente come quello calcografico.

Le opere scelte per la mostra e il catalogo, al fine di ripercorrere cronologicamente l’ormai più che trentennale esperienza della stamperia, testimoniano l’eclettica disposizione degli stampatori a venire incontro alle diverse esigenze degli artisti con i quali lavorano. 

Emblematica è l’esperienza con Sandro Chia nel 1989, quando l’artista era un esponente della Transavanguardia conclamato a livello internazionale. Viene realizzata una stampa con la classica incisione calcografica su rame, facendo approdare sulla carta una delle tipiche figure monumentali dell’autore in un paesaggio agreste e, al contempo, industriale. Una ciminiera fumante sullo sfondo, più che richiamare echi metafisici, evoca il mondo della fabbrica e del lavoro, attraversato da riverberi letterari per un’opera di grande equilibrio formale che restituisce in modo esemplare il classico stile dell’artista.

Nell’opera Cielo e terra prodotta nel 1994, Eliseo Mattiacci adotta l’incisione per trasferire sulla lastra di zinco un vortice spiraliforme che si inscrive dall’alto in basso su una tenue superficie sfumata di azzurro cielo e brunita terra. Poi, con un gesto che richiama la sua tipica ideazione concettuale, depone sulla carta un filo metallico impresso grazie alla pressione del torchio, facendo affiorare, sotto la superficie della stampa, il candore incontaminato dello spessore della Magnani di Pescia. Mattiacci compie un gesto in grado di negare la bidimensionalità, mentre ribalta il consueto punto di vista titolando e firmando l’opera in alto e in basso, per offrire all’osservatore la possibilità di un doppio sguardo.

Walter Valentini sfida le leggi del formato grafico standard e realizza nel 2005 visioni siderali frutto di personali cosmografie in opere monumentali tradotte con la tecnica della punta secca e l’inserimento della foglia oro. Traiettorie danzanti, aperte a movimenti ellittici, si inscrivono dentro infiniti universi solcati da pianeti orbitanti in modo eccentrico. Nella sue opere, l’oro, il nero e il bianco intessono un prezioso e raffinato dialogo su sfondi cinerei ed esprimono l’eleganza colma di significati simbolici che evocano mondi incantati dominati dall’anima, dal cielo, dal sole, dall’inconscio.

Gian Marco Montesano nel 2011, con la tecnica della serigrafia, fa materializzare le icone dell’universo hollywoodiano prelevando anche un fotogramma del celebre Caccia al ladro di Alfred Hitchcock. Una sorta di ironico furto per un autore che con freddezza e cinica determinazione ha irriso alla dipartita del medium pittorico. La celebre sequenza della scorribanda in macchina sui tornanti panoramici di Montecarlo viene congelata dentro una cromia incenerita, trasformando l’immagine in un bassorilievo lapidario e funebre. Nell’altra stampa, per contrasto, l’artista illumina con un giallo folgorante e una spruzzata elegante di glitter una magnifica Grace Kelly.

Nello stesso anno Enzo Esposito, sempre con la serigrafia, in questo caso polimaterica a quaranta colori con l’aggiunta di polvere di ferro, sperimenta il linguaggio della grafica per ritrovare il suo mondo abitato dall’astrazione. Esponente aniconico del movimento dei Nuovi-nuovi, crea nel suo percorso artistico installazioni e opere dove le campiture cromatiche si intrecciano e deflagrano in modo esplosivo. La pulsione tellurica si riversa anche nel lavoro grafico di grande formato, frutto di un tour de force tecnico considerevole, a conferma della forte componente emozionale insita nella sua ricerca espressiva.

Nei lavori calcografici, realizzati tra il 2014 e il 2016, Fathi Hassan inscrive segni, grafie, simboli e oggetti emersi dal proprio vissuto, come preziose madeleine prelevate dalla memoria. Nato in Egitto da genitori originari della Nubia, il suo immaginario mostra il fascino di una bellezza ancestrale come in Vela vola, dove imbarcazioni veleggiano sulle acque di fiumi contornate da uccelli e arborescenze, ripensando al Nilo dell’infanzia. In Contenitore della Nubia l’artista racchiude in un vaso, contornandolo d’oro per richiamare il tema della santità, la personale biografia, restituita da una figurazione e una scrittura identitarie.

Il tema della classicità intrisa della potenza evocativa della memoria, scevra da ogni recupero nostalgico, attraversa tutta la ricerca di Luca Pignatelli. È come se il tempo non si accordasse alla ferrea e un po’ sterile cronologia della storia, ma si diramasse verso le inattese temporalità delle apparizioni. Anche nei monotipi creati in stamperia nel 2018 con tecnica mista su tessuto, il rigore formale e il modello operativo di Pignatelli sembrano immutati. Il sorprendente risultato è l’esempio lampante della sintonia che può instaurarsi fra artista e stampatore per restituire un’identità non contraffatta o trasfigurata: la dimostrazione concreta della felice possibilità di un accordo esemplare. 

Matteo Fato è l’artista italiano contemporaneo che, come pochi, ha la capacità di padroneggiare l’incisione in modo mirabile. Nel 2018 con la tecnica della puntasecca inizia a stampare con Arti Grafiche della Torre, realizzando Florilegio, un grande monotipo che approda alla sua personale nello Spazio K di Palazzo Ducale di Urbino. Un raffinato lavoro, dove astrazione e figurazione si contendono lo spazio della rappresentazione in bilico tra la narrazione e la sua inesausta dissoluzione; eterno scavo che non prevede una fine, come in Florilegio Deriso, e nel monotipo calcografico, Sognatore è un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole. 

Il trittico di Jonathan Guaitamacchi, Johannesburg, inciso su rame con interventi di serigrafia materica nel 2019, è una perfetta e congeniale trasposizione grafica dei suoi dipinti incentrati sulla città e sugli agglomerati urbani contemporanei, tradotti in bianco e nero e osservati da una prospettiva zenitale. I suoi paesaggi sembrano trasposizioni di progetti architettonici e si pongono in un territorio intermedio fra reportage e sogno. Rispetto ai lavori pittorici, il trittico grafico si compone di linguaggi diversi, sovrapponendo puri segni a impasti materici e accostando sguardi prospettici frontali a osservazioni a volo d’uccello. Un lavoro che restituisce una interessante variante al suo consolidato linguaggio espressivo.

Il triplice ritratto realizzato nel 2019 con la tecnica della litografia su pietra da Omar Galliani è la perfetta traduzione della sua mirabolante e magistrale padronanza del disegno che per Dalí «è la sincerità dell’arte». Il trittico, composto da tre versioni di Berenice, sia che lo si voglia ricondurre all’ossessione del racconto di Poe, al tragico amore assoluto cantato da Racine, o alla donna di una poesia di Callimaco che offre in dono i suoi meravigliosi capelli alla dea Afrodite per favorire il ritorno dell’amato, è soprattutto l’apparizione sincera di un incanto, di una visione. Galliani, con il dono di una mano prodigiosa ha ‘descritto’, come nessun altro artista contemporaneo, la figura femminile con un trasporto, una forza e una magia che trascendono il mero ritratto per traghettare l’immagine della donna nello spazio trasfigurante dell’assoluto.

Fabrizio Cotognini insegue l’assoluto, la colpa, la redenzione con lavori che scavano nelle leggende e nelle contraddizioni della storia, senza dimenticare le contaminazioni dei social network. The Flying Dutchman e Parnassus, lavori incisi con mirabile raffinatezza nel 2019, sono, il primo, un omaggio a Wagner e all’eterno conflitto tra amore e redenzione, il secondo, un lavoro dove si intrecciano le suggestioni di Terry Gilliam con i tragici atti della storia. Il ritratto di Napoleone inciso nella lastra riprende quello di Canova che subì, come molte altre opere d’arte, atti vandalici da parte dei tedeschi durante la ritirata della Seconda Guerra Mondiale. Un simbolo del passato per affermare una distopia in aperta polemica contro ogni visione falsamente pacificante del presente.

Una visione diametralmente opposta è quella di Giuliano Vangi, permeata di afflato esistenziale e spirito religioso. Anche nelle recenti opere incise si rintraccia una sorta di preghiera muta. La si coglie nella figura, simbolo di una tormentata attesa che attanaglia l’uomo seduto nell’ombra in un paesaggio disabitato come una dolorosa pièce beckettiana, o nei volti pasoliniani, tratteggiati con intrecci sapienti per raffigurare due momenti focali della vita di Cristo: l’Annunciazione e l’Ultima Cena, preziosi lavori preparatori per una collaborazione ormai consolidata con l’architetto Mario Botta. Anche nell’incisione Vangi conferma la solida volontà di indagare il sacro in un tempo ammantato di cinico materialismo.

Questa carrellata di lavori, frutto di ricerche accurate, di attenti e orchestrati artifici tecnici, nei loro differenti esiti formali ed espressivi, attesta quanto possa essere vitale e sfaccettata la grafica d’arte contemporanea. Un territorio d’indagine inesauribile come quello recentemente avviato da Andrea Sanchini e Luca Bellandi con la tecnica del monotipo, di cui è stato realizzato un video presente in mostra. Le immagini documentano cosa sia un laboratorio: una fucina dove diversi soggetti intervengono nel processo creativo mentre l’artista lavora, creando attraverso una gestualità danzante forme fluide che si affacciano in superficie come fossero contorni fugaci di sogni.

Dopo più di trent’anni la stamperia Arti Grafiche della Torre è un presidio sperimentale che nel tempo ha rinnovato la sua struttura e i suoi collaboratori. La sperimentazione, infatti, diventa un perno essenziale che permette alla stamperia di trasformarsi in una piccola Factory dove i ruoli risultano sempre più interconnessi. La sua offerta si ampia, spaziando dal graphic design alle ricostruzioni virtuali, dalla fotografia all’allestimento museale, fino alle linee editoriali, grazie all’inserimento di nuove figure e professionalità. Può essere considerata uno dei nuovi volti, un’articolazione di quella grande tradizione che, nata a Urbino, si è irradiata in un territorio fertile come il Montefeltro. Il luogo dove la storia ha avuto le radici nobili del Rinascimento dentro una visione che innestava i saperi, fortificando gli arbusti delle discipline per raccogliere frutti sempre più copiosi. Una stamperia che, nel rispetto della tradizione, ha rimodulato i suoi statuti aprendosi a nuove avventure nel segno della condivisione, come attesta la dedica apposta da Walter Valentini sul margine della gigantesca calcografia Nella volta celeste ora appare: 

«Per Andrea con l’affetto di sempre e con i complimenti per la sua macchina creativa.».